Nicola Ghezzani

Foto di Nicola Ghezzani

Nicola Ghezzani vive e lavora a Roma. È psicologo, psicoterapeuta, formatore alla psicoterapia e autore di numerosi saggi, articoli, libri. Ha formulato i principi della psicoterapia dialettica. Scrittore da sempre, ha dedicato una parte considerevole del suo lavoro psicologico, terapeutico e di ricerca alle dotazioni psichiche e alla creatività.

Edgar Morin: “L’inséparable”

Alla morte dell’amatissima moglie Edwige, avvenuta nel febbraio del 2008, Edgar Morin comincia a scrivere un libro – Edwige, l’inséparable1 – che ritrae, come in una pittura di Rembrandt dedicata alla moglie, la vita condivisa con lei e le ragioni della loro unione durata tre decenni. Al momento in cui lo pubblica, nel 2010, Morin ha ormai ottantanove anni, è sopravvissuto due anni alla moglie e si confronta sempre di più egli stesso con la questione del senso della vita alla luce degli eventi capitali dell’amore e della morte.

Intervistato, si dichiara orfano inconsolabile: Eravamo inseparabili, radicati l’uno nell'altra, pur conservando ciascuno la propria personalità [...]. A dieci anni ho perso mia madre, so cosa significa essere orfano. Alla morte di Edwige ho riprovato le stesse sensazioni, mi sono sentito orfano una seconda volta2.

Foto di Edgar Morin

Come già André Gorz in Lettera a D., Storia di un amore (Sellerio) o Jacques Le Goff nelle pagine di Con Hanka (Laterza), Morin ha sentito il bisogno di confrontarsi con il ricordo della propria storia di coppia, affrontando il terreno della passione. Una passione intessuta di memoria.

Ho scritto il libro per far conoscere mia moglie, una persona segreta e quasi misteriosa. Volevo mostrarne le qualità e la forza, pur senza nasconderne i difetti, racconta il sociologo nella sua casa parigina: Mentre scrivevo, piangevo e soffrivo, ma continuavo a starle vicino. Era un modo per lottare contro la morte, facendo durare la sua memoria.

Morin aveva incontrato Edwige nel 1961 a Santiago del Cile, rimanendo folgorato dalla sua bellezza. La giovane donna era però sposata e aveva una figlia. I due dovettero attendere diciassette anni per ritrovarsi in Francia, dove divennero subito amanti. Cominciò così la storia d’amore rievocata nelle pagine del libro, dal primo, felice incontro fino al calvario della malattia.

Scrivendo mi sono lasciato andare al dolore, al punto che la mia sofferenza ha rischiato di cancellare il ricordo di Edwige. Non l’ho idealizzata. Per me è sempre stata fonte di poesia viva. Lo sapevo, ma non sapevo quanto questa poesia fosse vitale per me dice, ricordando che l’amore è sempre stato il carburante della sua vita. Anche prima di Edwige, non ho mai potuto vivere senza amare. Per lavorare e pensare ho bisogno della combustione sentimentale. C’è chi si perde nell’amore. Io, invece, mi ritrovo.

Citando Khalil Gibran, Morin ricorda che spesso si riconosce la grandezza di un idillio nel momento in cui lo si perde: Sarebbe meglio rendersene conto prima, misurando la profondità e l’importanza di una relazione mentre la viviamo. Purtroppo molto spesso non è così. L’immensità del vuoto lasciato diventa allora la misura dell’amore appena perso. Un vuoto che si riempie di sensi di colpa e di rimorsi: All’improvviso, ho rivisto tutti i miei errori, le mie assenze, le mie insufficienze.

Poi Morin ricorda un verso di Attilio Bertolucci: Assenza, più acuta presenza, per sottolineare il paradosso del lutto, dove la scomparsa di una persona cara si trasforma in una presenza ancora più intensa, una presenza muta e continua che ci colpisce profondamente, facendoci continuamente soffrire.

Copertina de “Edwige, l’inséparable”

Per Morin tuttavia non si deve sfuggire al ricordo, che deve essere sempre perpetuato. Da qui la necessità di scrivere il libro. Mostrarmi in lacrime non è un problema, dato che non ho mai cercato di auto-celebrarmi. Ho mostrato piuttosto che anche per gli intellettuali la vita quotidiana è fatta di limiti e debolezze. La cultura non ci trasforma in superuomini. Al contrario, ci rende individui ancora più umani, vale a dire non indifferenti agli altri, quindi più vulnerabili. Certo, possiamo ripetere le massime degli stoici per negare il dolore o per resistergli, ma ciò non riduce la nostra vulnerabilità. E non elimina la necessità di amare: quella spinta all’unione che ci accompagna come un’ombra per tutta la vita. La compagna come alter ego con il quale abbiamo scolpito in nostro essere. Quando questo alter ego viene a mancare è l’io che viene a mancare a se stesso. Si apre un vuoto nel quale l’io cerca un punto di orientamento per non scomparire, per tornare a esistere, e lo trova nella scultura della memoria.

La morte allora è la pagina bianca sulla quale possiamo vedere stampato per l’eternità questo imprescindibile bisogno dell’anima umana.


Note

  1. Morin E., “Edwige, l’inséparable”, Fayard, Parigi, 2009..
  2. Gambaro F., “Edgar Morin È morto il mio amore. Adesso sono orfano”, Il venerdì di Repubblica, 23 luglio 2010..