Nicola Ghezzani

Foto di Nicola Ghezzani

Nicola Ghezzani vive e lavora a Roma. È psicologo, psicoterapeuta, formatore alla psicoterapia e autore di numerosi saggi, articoli, libri. Ha formulato i principi della psicoterapia dialettica. Scrittore da sempre, ha dedicato una parte considerevole del suo lavoro psicologico, terapeutico e di ricerca alle dotazioni psichiche e alla creatività.

Co-dipendenza affettiva e mitomania

Uno scambio di mail

La mail

Buona sera dottor Ghezzani,
oggi ho letto con grande interesse il suo articolo sulla mitomania e mi sono riconosciuta nella parte della donna dipendente dall’uomo mitomane e megalomane. Suppongo di non essere la prima ad avere bisogno di un sostegno psicologico essendo parte della categoria delle “crocerossine”.

“Un passato imperfetto”

Da due mesi ho rincontrato un uomo che fin da ragazzina ammiravo per la sua simpatia e per il suo modo di essere... Ho studiato pedagogia e conosco abbastanza bene la sfera delle nevrosi e quella delle psicosi (mia sorella è schizofrenica). Quest’uomo, secondo me, è affetto da mitomania e forse anche da megalomania. È entrato nella mia vita riempiendomi di frasi e di attenzioni (verbali e scritte) paragonabili alle favole... Ogni giorno ricevo messaggi, e-mail, telefonate piene di parole meravigliose. Da quel momento ci siamo incontrati solo tre volte. Le prime due solo per un caffè, l’ultima invece è stata seguita da un meraviglioso bacio.

Lui è sposato e da quel che so (da amici comuni) lo chiamano il re dei ballisti... Racconta di lavorare per una grossa azienda di aerei, racconta di week end in una baita costruita da lui, dove ogni albero (piantato da lui) possiede un nome... e l’ultimo piantato, una quercetta, porta il mio nome: divertente!

È di un’intelligenza e di una sensibilità fuori del comune, assolutamente mai viste... Nessuno sa cosa faccia realmente dal mattino alla sera. Si vergogna di sua moglie, che è molto ricca, e nega di essere sposato, in molti sappiamo che in passato si è mangiato tutti i capitali di famiglia.

Il mio problema è che ogni giorno mi promette incontri per rubarmi anche solo un bacio e poi non riesce a incontrarmi, a mantenere le sue promesse... Trova scuse all’ultimo minuto, insomma è molto, molto difficile.

Le scrivo perché i miei pensieri purtroppo vanno continuamente a lui e non so come devo comportarmi, se assecondarlo, se lasciar perdere (sappiamo che sarebbe la miglior scelta ma per il momento la sento impossibile). Quando mi cancella gli appuntamenti soffro... non riesco a vivere tutto questo come un semplice gioco...

Lei dottore conosce una buona ricetta? Rimango in attesa di un suo cenno...

Grazie per essersi occupato del problema; il suo articolo è meraviglioso!

A.

La mia risposta

Cara A.,
l’amore ossessivo per un individuo affetto da mitomania va inteso come una forma di co-dipendenza, in particolare come una co-dipendenza affettiva.

“Gli amanti”

In genere le donne (come lei) che amano ossessivamente un uomo scarsamente meritevole (perché immaturo, ammalato o moralmente indegno) sono impegnate in una complessa strategia di cui non sono consapevoli: intuiscono che s’innamorano per sottomettersi a un uomo senza coinvolgersi con lui in modi davvero profondi, che comporterebbero la necessità di conoscerlo davvero. Poi, qualcosa in questo modo d’innamorarsi comincia a cedere, sta per crollare sotto i colpi della critica rabbiosa e del disinganno, ma esse vi si oppongono tenacemente, accrescendo ed esasperando il loro amore, fino a renderlo masochistico e disperato, tale da annullare ogni possibile razionalità.

Ciò che in loro sta per crollare non è quel singolo innamoramento: è il modello stesso di amore con il quale hanno sempre vissuto, modello di cui s’intuisce la patologia: un modello di amore che implica sottomissione, sacrificio e illusione.

Secondo questo modello, l’amore è cieca condiscendenza a un’illusione e questa condiscendenza deve essere salvata da qualsiasi giudizio critico, da qualsiasi lucida analisi possa essere fatta riguardo ai difetti della persona amata e riguardo agli eccessi sacrificali del proprio modo di amare.

Da bambine, le persone che – come lei – da grandi diverranno innamorati compulsivi sono state educate ad amare in modo incondizionato, ed è stato loro insegnato che solo tale amore le rende degne di apprezzamento. Sicché col tempo, turbate dalla sensazione di amare sotto costrizione e insidiate dalla delusione e dalla rabbia, queste persone si sono obbligate ad amare in modo sempre più incondizionato, proprio per salvare i loro affetti da ogni delusione e da ogni critica. Nella loro vita, l’amore è una schiavitù.

Si può amare in un altro modo? In un certo senso, l’amore è sempre una forma di illusione: da bambini si ammira in modo incondizionato un adulto, di solito un genitore, per preservarsi dai traumi della vita. Da adulti, l’innamoramento segue queste prime linee affettive e coincide di nuovo con una alta idealizzazione dell’oggetto amato: questa volta, per aprire il cuore alla necessità di farci uscire da una crisi pregressa o dalla solitudine.

Ma poi col tempo l’amore, per dar luogo a una relazione durevole e sana, deve maturare. Il passaggio dall’innamoramento cieco all’amore maturo presuppone una profonda trasformazione: divenire maturi significa allora sciogliere i veli dell’illusione e amare appunto in modo maturo, vedendo bene in chiaro i limiti dell’amato. Amare in modo maturo significa accettare di capire e di essere delusi e allo stesso tempo di deludere l’altro sottraendogli la “protezione” costituita dalla nostra ammirazione.

Al bambino che vede che il re è nudo deve allora coincidere l’amante adulto in grado di vedere l’amato nei suoi limiti, nelle sue negatività e nella sua finitezza. La fine dell’illusione è l’inizio dell’amore maturo, nel quale si ama un essere umano, non un angelo o un diavolo.

Spesso tuttavia questo passaggio non riusciamo a farlo: perché lo sentiamo come un tradimento; i sensi di colpa ci impediscono di andare in questa direzione.

Questo è proprio quanto accade a lei. Essendo cresciuta col modello della dipendenza ammirativa nei confronti dell’amato, oggi il suo amore deve essere un amore cieco, incapace di giudizio critico, deve essere subordinazione intellettuale all’individuo amato e quindi all’“inganno” dell’amore. Il suo è un amore che non può essere illuminato dalla valutazione critica, quindi dalla conoscenza e dall’esperienza. Pertanto, piuttosto che rivelare l’amore come strumento d’inganno, lei giunge all’estremo sacrificio: l’annullamento di sé.

Se ne può uscire? Lei ha scelto di amare un uomo il cui carattere principale è proprio l’abilità nell’inganno, quindi è nella condizione migliore per accostare e intuire la verità di fondo del suo amore: l’amore per lei è sottomissione intellettuale, è una fascinazione favolistica, illusoria, che nasce e cresce proprio grazie al sacrificium intellecti, il sacrificio dell’intelletto, cioè il sacrificio della propria intelligenza e della propria capacità di giudizio.

L’amore diviene così un abile inganno cui bisogna sottomettersi. E tuttavia, riconoscere che l’amato è un ingannatore può illuminare di colpo ogni cosa. Lei non ha scelto di amare quell’uomo del tutto a caso. Lei ha scelto lui – di cui già conosceva il carattere di ingannatore patologico – perché cercava qualcuno che la ingannasse e la sottomesse su un piano intellettuale, costringendola a rinunciare alla sua emancipazione di adulta e di donna. Lei durante l’infanzia ha vissuto nell’idea che il bambino buono dovesse essere docile e fiducioso fino alla compiacenza; oggi, da adulta, vive l’equazione (tradizionale) secondo la quale la donna buona è quella che si lascia ingannare; mentre la donna che usa la sua intelligenza per evitare l’inganno è cattiva e merita di essere abbandonata. Pertanto, per salvare ciò che secondo lei è l’amore lei compie un sacrificium intellecti, un sacrificio dell’intelletto.

Ma l’equazione che lei effettua tra bontà e sottomissione intellettuale le provoca sofferenza, tant’è vero che lei non cessa mai di interrogarsi (anche ossessivamente) sulla qualità dell’uomo e del vostro amore; quindi non è affatto riuscita a sopprimere fino in fondo la sua ricca e dubbiosa intelligenza.

Da questo complesso inganno si può uscire. Le consiglierei di lasciar andare quest’uomo così inadatto a lei oppure, se proprio non riesce ad allontanarsi da lui, di stare con lui come con un fratello: di cessare ogni rapporto sessuale. Il contatto sessuale più di ogni altra cosa illude che essendovi una relazione di piacere vi sia anche una relazione di “cura” reciproca, cosa palesemente falsa e che per di più genera una inutile e ingannevole riconoscenza. Abbia la forza di farlo. Prenda le distanze. O almeno cominci ad abituarsi al pensiero di farlo.

Un caro saluto,
Nicola Ghezzani

Risposta della lettrice

Caro dottore,
grazie di cuore per la sua risposta.

Quante volte mi sono sentita dire di essere co-dipendente! D’altronde fin da piccola o forse fin da quando galleggiavo nel liquido amniotico ho vissuto il dramma dell’inganno e dell’abbandono, che continua a terrorizzarmi.

Ci tengo moltissimo a leggere i suoi libri e lo farò subito.

“Ballerini”

Lo sa qual è il vero problema? Normalmente noi un po’ pazzi abbiamo una sensibilità ed una testa sicuramente più interessante di chi vive di relazioni comuni, facili, equilibrate (sono stata sposata 7 anni con un uomo “perfetto”, e dopo anni di terapia mi sono stufata e sono uscita dal cliché) e sono sempre attratta da uomini con una testa pazzesca ma molto, molto pericolosi... Quindi potrebbe essere valida l’ipotesi che fa lei, cioè che io sia attratta da uomini molto intelligenti, in fondo allo scopo di esserne ingannata e dominata...

Eppure... Lei non pensa che una forte esperienza possa valere più di dieci anni di piattume?

Vorrei incontrarla e verrò a Roma apposta. È una promessa.

Ancora grazie.

A.

Un breve commento

A questo scambio di mail si può aggiungere un ulteriore, breve commento.

Dopo la spiegazione che le ho fornito, la lettrice si scopre un po’ di più e ammette che forse io sia attratta da uomini molto intelligenti, in fondo allo scopo di esserne ingannata e dominata, ma allo stesso tempo svela le ragioni della sua compulsione: sono stata sposata 7 anni con un uomo “perfetto” [cioè “normale”] e dopo anni di terapia mi sono stufata e sono uscita dal cliché.

Talvolta, dunque, la dipendente affettiva è una donna esigente, affascinata dal tipo dell’uomo “eccezionale”, dotato in modo particolare di vitalità, fascino, intelligenza, bellezza ecc. Annoiata o oppressa dal cliché della “coppia normale”, priva di vitalità e di prospettive di crescita, vi si ribella e va alla ricerca di una relazione che generi una nuova visione della vita 1. Ma questa donna, come pentita del gesto audace e incapace di portarlo avanti con coerenza e con radicalità, ripiega la sua ricerca in un modello di rapporto più che mai tradizionale, nel quale l’uomo è eccezionale a prescindere da qualunque analisi critica; quindi è eccezionale solo in quanto la donna lo vede tale. Chiaro che in questo modello di rapporto la donna ottiene di sottomettersi (quindi di fatto rientra in un cliché tradizionale), ma lo fa seducendo l’uomo narcisista e insicuro mediante la lusinga della propria adorante sottomissione.

Alla fine, un rapporto di tal genere è una collusione erotica – dunque una co-dipendenza – perché se da un lato soddisfa le esigenze sadomasochiste, gerarchiche, di entrambi, dall’altro annulla la possibilità di conoscersi nella più autentica intimità psichica e di coinvolgersi fino in fondo. In effetti l’uomo e la donna che scelgono questo tipo di relazione non potranno mai conoscere la loro controparte sessuale, né potranno mai elaborare nuovi codici di amore, persistendo in un modello di coppia del tutto tradizionale.

Ciò mi conferma nell’ipotesi, espressa sia in Quando l’amore è una schiavitù 2 che in La paura di amare 3, secondo la quale ogni dipendente affettivo nasconde un anoressico sentimentale, cioè una persona che ha paura di amare. Aperto solo in apparenza all’amore, in realtà ostile ad esso per la sua paura di cedere alla fiducia e di soffrire, il dipendente oscilla di continuo fra dipendenza passiva e indipendenza compulsiva, senza mai trovare un vero punto di equilibrio e di contatto col partner. Ed è solo questo punto di contatto che determina la salute della coppia, cioè possibilità di amarsi e unirsi oppure di separarsi.


Bibliografia

  1. Nicola Ghezzani, Perché amiamo, Sonzogno, Venezia, 2013.
  2. Nicola Ghezzani, Quando l’amore è una schiavitù, Franco Angeli, Milano, 2006.
  3. Nicola Ghezzani, La paura di amare, Franco Angeli, Milano, 2012.