Nicola Ghezzani

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Nicola Ghezzani vive e lavora a Roma. È psicologo, psicoterapeuta, formatore alla psicoterapia e autore di numerosi saggi, articoli, libri. Ha formulato i principi della psicoterapia dialettica. Scrittore da sempre, ha dedicato una parte considerevole del suo lavoro psicologico, terapeutico e di ricerca alle dotazioni psichiche e alla creatività.

Dipendenza affettiva e mitomania romantica

Esiste una categoria della dipendenza affettiva che ho descritto nel libro L’amore passionale e ho chiamato mitomania romantica. Per capirla a fondo, dovremmo affrontare il tema dell’autoerotismo psichico.

“Dolce estate”

L’autoerotismo è un sistema psichico di interazione con se stessi, composto di pensieri e atti erotico-affettivi intimi, spesso segreti, immuni dal confronto con la realtà. Esso può esser tale da non coinvolgere gli organi genitali e la ricerca attiva dell’orgasmo, sicché lo si può praticare senza provare la necessità di masturbarsi. In tal caso, si configura come fantasia, sia erotica che amorosa.

Volendo vivere l’esperienza amorosa, ma non potendo viverla nella realtà a causa dei conflitti che scatenerebbe, colui che dipende da fantasie romantiche riaccende la funzione fantastica autoerotica di cui è più o meno dotato e si crea una realtà a parte, controllata fin nei minimi dettagli in tutto l’arco del suo nascere, crescere, morire. In tal modo il fantasticatore si crea un film personale, mettendosi al riparo sia dai traumi esterni (rifiuti, abbandoni, conflitti ecc.), che da traumi interni, causati dalla conoscenza lucida e dolorosa della totalità del proprio mondo emotivo (e dunque paure, rabbie, compulsioni e depressioni, odii e rivendicazioni).

Dunque, così come esistono personalità incentrate sulla rivendicazione di attenzioni e di attività sessuali (che talvolta esitano nella dipendenza sessuale) e personalità che hanno al loro centro la rivendicazione di amore (che possono quindi sviluppare la dipendenza affettiva), esistono anche personalità incentrate sulla necessità interna e sulla rivendicazione esterna di attività fantastiche di tipo romantico. Sono persone la cui vita reale, spesso irrigidita e contratta dall’inibizione e condannata alla carenza, necessita di difese dal senso di vuoto che le pervade. Queste difese possono organizzarsi, appunto, intorno a un uso auto-erotico della fantasia.

“Miranda e la tempesta”

A un livello minimo, queste personalità esprimono i loro bisogni in infatuazioni passeggere, che come un fuoco fatuo illuminano per un breve tratto un paesaggio di morte. Al crescere dell’intensità della sofferenza nascosta e dei bisogni fantastici compensativi lo scenario muta fino a divenire patetico e pericoloso. Il mitomane si avventura allora nella creazione di storie amorose lunghe e complesse, vere e proprie narrazioni epico-erotiche a forte contenuto visionario, che possono durare anni e indurre intense sensazioni somatiche.

Nella creazione fantastica, il mistificatore sentimentale realizza un complesso di immaginazione pura e di melodia cinetica, non scevro di realistica e appagante drammaticità, nel quale la passione amorosa va incontro ad alterne vicissitudini, passando dall’esaltazione estatica alla più nera disperazione e viceversa. Spesso, la fantasticheria ha per oggetto una persona reale, ma altrettanto spesso ha per oggetto persone e situazioni inventate, che danno alla storia un incedere scopertamente infantile.

Un tipico strumento “tecnico” di appoggio è offerto dal cinema, che raccoglie drappelli di donne e uomini patiti di storie di fantasia; un altro è il romanzo, di solito dozzinale o, come si diceva un tempo, “d’appendice” o “rosa” (anche per la dipendenza da romanticismo, come per ogni dipendenza, la necessità d’uso transige sui contenuti); non di rado la poesia, sia letta che scritta. Altri strumenti, più moderni, si collocano a metà strada fra il cinema e la letteratura: laddove un tempo c’erano i fotoromanzi, oggi ci sono i teleromanzi, lunghissimi serial nei quali il fantasticatore si immerge come si trattasse della sua stessa vita. In tempi recentissimi, la fantasticheria romantica invade sempre più Internet e le chat, dove è sistematico lo scontro di motivazioni fra donne che cercano occasioni per immaginose storie romantiche e uomini a caccia di puro sesso.

La dipendenza affettiva è in questo caso una forma di mitomania erotica che va presa molto sul serio: al di là dell’aspetto ingenuo, essa cela disturbi nell’area dell’autostima. La sua funzione è infatti di placare e rendere il più possibile innocui nuclei depressivi profondi, incistati nella personalità.

Il conforto immaginario che induce evita il radicamento dell’Io sia nella propria memoria – che viene sostituita da una memoria protesica, artificiale – che nella realtà quotidiana, povera e frustrante. Sul lungo periodo i suoi effetti possono essere penosi: il completo abbandono alla fantasia romantica porta sempre in qualche misura alla fuga dagli affetti reali, non di rado disprezzati, quindi a una degradazione dell’identità affettiva e sociale non diversa da quella che si riscontra nei casi di tendenza compulsiva alla masturbazione, al tradimento, alla “doppia vita”, alla promiscuità.

Nella fantasticheria romantica si consuma, dunque, un delitto virtuale, in apparenza ben controllato nello spazio psicologico interno; un delitto virtuale caratterizzato non solo e non tanto dal desiderio di non fare danno alla vita esteriore, reale, quanto piuttosto dal desiderio di effettuare il “delitto perfetto”, celato a tutti, eppure tale da indurre effetti micidiali nella realtà, in apparenza non imputabili a nessuno.

“Un ugonotto, il giorno di San Bartolomeo”

Tra la fantasia romantica – del tutto immaginaria o vissuta sul tramite di un dato reale – e l’amore passionale c’è la differenza che c’è fra la festa e la rivoluzione. Nella festa popolare, come il Carnevale, il mondo viene rovesciato e si compiono trasgressioni delle regole del mondo intese a dare un sollievo liberatorio. Ma, a festa avvenuta, il mondo non è cambiato; è più o meno rimasto lo stesso. Per contro, la rivoluzione comporta il desiderio attivo di modificare il mondo secondo le proprie aspettative. Pertanto, nella rivoluzione le trasgressioni non sono la meta, come invece nella festa; sono solo un momento di passaggio, la rottura necessaria a far cessare il sistema di valori e il mondo oggettivo preesistente. Chi vive nella festa osa poco, mira a un rischio calcolato; chi vive nella rivoluzione non può altro che accettare per intero il rischio massimo, quello di perdere se stessi nell’atto in cui si cerca di rinnovare il mondo. Allo stesso modo, nella romanticheria si simula il rischio, il dolore e la passione, insidiati, per via della simulazione, da un pervasivo sentimento di futilità che alimenta la frustrazione. Per contro, nell’amore passionale si trasgredisce con tremore ed esultanza, in funzione di un rischio supremo: il radicale cambiamento della vita.