Nicola Ghezzani

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Nicola Ghezzani vive e lavora a Roma. È psicologo, psicoterapeuta, formatore alla psicoterapia e autore di numerosi saggi, articoli, libri. Ha formulato i principi della psicoterapia dialettica. Scrittore da sempre, ha dedicato una parte considerevole del suo lavoro psicologico, terapeutico e di ricerca alle dotazioni psichiche e alla creatività.

Donne che non si amano e uomini “sbagliati”

Il masochismo morale femminile

Francesca Woodman

Non poche donne – nella stanza di psicoterapia o per e-mail – si lamentano di un problema specifico: esse attraggono solo “uomini sbagliati”. Si tratta di uomini problematici, sofferenti di qualche disturbo di natura affettiva o mentale, che si legano morbosamente a loro chiedendo comprensione, in forma di sesso e di amore. Le donne ne sono turbate, vogliono sottrarsi al ricatto affettivo, ma non sanno come fare. Alcune cedono e si mettono nei guai, perché vivono rapporti senza senso, cariche di sofferenza, costrette a rifornire quegli uomini di false illusioni. Altre resistono, ma non sono abbastanza assertive nel rifiuto. Altre rifiutano in modo drastico, ma poi tutte si tormentano per l’idea di essere loro stesse sbagliate, perché attraggono solo uomini sbagliati e quelli “giusti” invece vengono ceduti alle altre. Non poche volte, appena si sente rifiutato, l’uomo diventa un “persecutore affettivo”, in modo “soft”, cioè discreto e delicato, ma insistente, oppure aggressivo, talvolta violento. La donna a questo punto – tormentata da un processo morale interno – si chiede se sia stata lei a far precipitare la situazione, e se ne fa una colpa.

La differenza fra questa tipologia di donne e quelle che soffrono di dipendenza affettiva sta nel fatto che queste ultime di solito idealizzano i loro partner e si addossano interamente la colpa del mancato rapporto. Nel caso invece delle donne che non si amano, queste vedono con chiarezza i deficit dell’uomo, ma una sorta di attrazione fatale le porta a bruciarsi le ali, come falene affascinate dalla luce di un falò.

Da cosa dipende questa strana configurazione affettiva, perché queste donne ripetono sempre lo stesso errore?

La donna in questione – donna che non si ama – ha una bassa autostima e si considera una persona di poco valore. Non sempre la dipendente affettiva è cosciente di darsi uno scarso valore; questo tipo di donna invece sì. La bassa autostima correlata a comportamenti che portano un danno alla propria identità affettiva e sociale e quindi alla propria vita la definiamo masochismo morale1.

Il masochismo morale è un’attitudine della persona non solo a giudicarsi male, ma a anche a farsi danni su diversi piani. Esso dipende da larvati sentimenti di indegnità e di colpa presenti da sempre, come un batterio dormiente, nel cuore dell’identità. Spesso la masochista morale ha avuto genitori che non l’hanno valorizzata o l’hanno del tutto ignorata. E lei, sin da piccola, piuttosto che sviluppare un carattere rabbioso, oppositivo, protestatario, ha “scelto” la via della soggezione e ha interiorizzato il rifiuto genitoriale nei termini di una oggettiva indegnità. Si è detta: se non mi amano è perché non lo merito. Dal momento di questa valutazione, la sola idea di meritare amore e felicità diviene una sorta di trasgressione. La bambina, divenuta poi donna, non può esigere amore, perché il solo farlo significa far crollare la costruzione con la quale ha salvato i genitori dal proprio risentimento. Se merito amore, loro sono stati ingiusti! Quindi non posso più amarli!.

La scelta del partner sbagliato è un modo per ripetere questa memoria negativa, secondo la quale è lei che dovrebbe sottomettersi ai difetti dell’altro. Solo finché si sottomette ella si sente buona. Se chiede amore e felicità, disobbedisce, dunque è cattiva.

Poiché si tratta di solito di memorie profonde, radicate nella personalità, è difficile che lei riesca a cambiarle coi suoi mezzi personali, e questo nonostante la sua coscienza si ribelli di continuo. L’obbligo morale inconscio è tale da dare scacco alle più normali esigenze di dignità. Dunque, questo tipo di donna può guarire solo grazie ad un buon intervento professionale. Talvolta può accadere che ella acquisisca meriti in campi non sentimentali, per esempio sul lavoro o grazie ad una passione o in qualche contesto sociale. Questi meriti possono allora scalfire il nocciolo duro dell’autodenigrazione. Ma si tratta di eventi casuali e infrequenti. Il lavoro di psicoterapia è invece programmato e metodico.

Lo psicoterapeuta dovrà innanzitutto mostrare che la vita emotiva inconscia ha dominato la razionalità e il buon senso coscienti; quindi dovrà risalire alle prime interazioni affettive coi genitori ed evidenziare come il senso di colpa abbia inibito nella bambina e nella ragazza la richiesta di amore. “Smontare” il senso di colpa di fronte alla propria richiesta di dignità e di amore è l’atto terapeutico centrale. La capacità di rifiutare ogni rapporto che non sia egosintonico, cioè gradito e ben integrato nell’io, ne verrà di conseguenza. Allo scopo possono risultare validi anche i gruppi auto-mutuo aiuto e di coscienza femminile, nonché le relazioni amicali e sociali di affettuosa intimità, comunque da affiancare a un’esperienza più radicale di psicoterapia.

Poiché nasciamo con un bisogno imprescindibile di amore2, il processo terapeutico avrà un formidabile alleato nella natura profonda della stessa paziente.

In questo millennio che si apre su uno scenario di gravi ingiustizie sociali è di vitale importanza che alla donna venga restituita – e lei sappia riprendersi – la sua dignità, sanando così la prima, grande ingiustizia “di classe” del genere umano.


Note

  1. Leggi a questo proposito il mio Volersi male.
  2. Per approfondimenti consiglio la lettura di Perché amiamo.