Nicola Ghezzani

Foto di Nicola Ghezzani

Nicola Ghezzani vive e lavora a Roma. È psicologo, psicoterapeuta, formatore alla psicoterapia e autore di numerosi saggi, articoli, libri. Ha formulato i principi della psicoterapia dialettica. Scrittore da sempre, ha dedicato una parte considerevole del suo lavoro psicologico, terapeutico e di ricerca alle dotazioni psichiche e alla creatività.

I neuroni specchio e il dono dell’empatia

Foto di una donna che tiene tra le braccia il proprio figlio.

Nonostante la generale improduttività dell’università italiana, dovuta al suo andamento più burocratico che meritocratico, l’amore per la ricerca continua, nel nostro paese, a dare i suoi splendidi frutti. È di questi anni la scoperta dei cosiddetti neuroni specchio, famiglia di cellule cerebrali in grado di farci reagire in modo speculare alle azioni e alle intenzioni del nostro simile. Vediamo come funzionano e cosa ci illustrano della nostra vita psicologica.

Se ci troviamo di fronte a un volto atteggiato a tristezza o viceversa vi scorgiamo l’indizio di un sorriso, se un nostro ospite sta per prendere fra le dita una tazzina di caffè e sta per sorbire la bevanda, ecco che una catena di neuroni si attiva nel nostro cervello mettendoci nella condizione di imitare nel nostro corpo e nella nostra mente l’emozione, la sensazione o l’atto in corso. L’imitazione di quell’emozione, di quella sensazione, di quell’atto consentono l’esatta comprensione dello stato d’animo dell’altro essere umano e quindi le sue intenzioni. È come se il nostro cervello creasse dentro di sé una copia di quella persona, allo scopo di capire il suo pensiero e di entrare in piena sintonia con lei.

Foto di Giacomo Rizzolatti.

La scoperta di questi neuroni, che dimostra – se ancora ve ne fosse bisogno – la natura sociale della nostra specie, si deve a Giacomo Rizzolatti e alla sua equipe dell’Università di Parma, ed è una scoperta di portata eccezionale. Lo studio dei neuroni specchio ci dà la possibilità di capire cosa sia l’empatia e cosa c’entri coi processi affettivi e di apprendimento.

Imitare le emozioni del simile dà al bambino l’opportunità di identificarsi, stabilendo col proprio simile immediato un contatto senza mediazioni, portando così dentro di sé i modelli familiari e gli schemi e i linguaggi di interazione e di riconoscimento; inoltre, di capire la distinzione tra il bene e il male (relativamente ai codici morali vigenti nel mondo) in virtù dei sentimenti che egli legge sul volto degli adulti. Inoltre, l’imitazione gli consente di dare valore agli insegnamenti sia morali che intellettuali, che così gli indicano la via per integrarsi in famiglia e nella società.

L’empatia, dunque, è alla base dell’intera vita sociale: rende solide e proficue le relazioni di accudimento, fa in modo che le relazioni affettive attecchiscano e creino coppie, famiglie e amicizie, infine rende possibili le più complesse relazioni che si hanno col mondo storico-sociale in quanto individui di un certo gruppo e cittadini di una nazione.

Secondo le ipotesi che argomento da molti anni nei miei libri (soprattutto in Uscire dal panico (2000), Volersi male (2002) e La logica dell’ansia (2008, tutti editi da Franco Angeli), l’empatia non è solo un dono; in parte essa può divenire una disgrazia. Il bambino empatico, infatti, acquisisce modelli di condotta che funzionano dentro di lui come dei “comandi”: legge con singolare immediatezza i desideri degli adulti, si identica con loro, pertanto può solo compiacere le attese di coloro che ama o da cui dipende. Se invece avverte la necessità di porre in atto pensieri e comportamenti diversi dai modelli appresi, cade dapprima nell’ansia, poi, se è abbastanza autonomo, nella vergogna e nel senso di colpa, quindi nel blocco e nell’inibizione; se invece non lo è, in luogo della vergogna e della colpa, cade in un drammatico senso di paralisi depressiva o in atti di protesta distruttivi e antisociali.

L’empatia, dunque, è sia la base naturale della socialità, della cultura e di sentimenti meravigliosi come l’amicizia, la compassione e l’amore, sia, allo stesso tempo, la trappola fatale che può produrre conflitto interno, ansia e nevrosi.

Rizzolatti sta ora studiando il rapporto fra neuroni specchio e autismo infantile (un disturbo in cui l’empatia è carente e il bambino non riesce a porsi in rapporto con gli altri). L’ipotesi con la quale ci si dovrà confrontare – già suggerita dalla psicoanalista Margaret Mahler – è che l’autismo sia la faccia di una medaglia il cui retroverso è la simbiosi. L’autismo sarebbe l’inibizione dell’empatia a livelli primari, una ipodotazione empatica dovuto a un danno nella prima simbiosi. Chissà se un giorno Rizzolatti vorrà studiare anche l’iperdotazione empatica, che, nella mia ipotesi, è la base comune sia dell’intelligenza emotiva che della nevrosi. Me lo auguro di cuore.

L’empatia è la base dell’intelligenza perché attraverso l’imitazione e la cognizione degli stati d’animo altrui si possono dedurre l’ordine delle relazioni affettive e sociali, i complessi di valori che le organizzano, gli schemi di comportamento individuali e collettivi, l’agio e il disagio delle persone che incontriamo, le alternative possibili al mondo in cui si vive, i simboli che mediano l’intero planetario della cultura. Ma l’empatia è altresì base della nevrosi perché l’imitazione implica l’interiorizzazione, quindi il portare dentro di sé identità, valori e schemi che possono non funzionare, che possono produrre delusione e rabbia, che possono mettere il soggetto contro se stesso, perché ripudiare o odiare un genitore che è stato portato dentro di sé o un sistema di valori che è stato dedotto per identificazione è essere in dolorosa lotta con se stessi.

Per inciso, lo studio della neurobiologia e della neuropsicologia è, ancora oggi, più pertinente – e quindi più serio – dello studio della genetica nel merito dell’analisi e della comprensione dei disturbi della psiche. I dati neurologici – come dimostra la scoperta dei neuroni specchio – sono di immediata pertinenza, leggibili e collocabili; quelli della genetica – come ben sanno i genetisti – sono tuttora, per ciò che riguarda la psiche, molto labili e remoti. Mentre ormai sappiamo dove e come nascono l’empatia e i suoi disturbi, non sappiamo ancora quali e quante centinaia di geni sono implicate nell’attivazione anche di una sola, semplice emozione.

Questo importante risultato della ricerca scientifica – unitamente a molte altre evidenze della moderna neuropsicologia – è destinato a ricadere con vigore nell’ambito della terapia dei disturbi psichici. Innanzitutto, esso aiuta a meglio inquadrare l’utilità non marginale dei gruppi di auto/mutuo aiuto. L’empatia è lo strumento di base attraverso il quale agiscono tutti i raggruppamenti umani, quindi anche nei gruppi di mutuo aiuto essa costituisce la base per costruire intuizioni e comprensioni di carattere cognitivo. Ovvio che il gruppo sarà più efficace se saprà dotarsi – in modo diretto o indiretto – di quella cultura psicodinamica che da oltre un secolo studia le comunicazioni emotive, le identificazioni, i condizionamenti morali, le ambivalenze evolutive. Senza questo ausilio, il gruppo di mutuo aiuto non differisce da qualunque altro più o meno efficace assembramento umano.

Ma la base empatica che caratterizza tutti rapporti umani fa sì che i gruppi siano ben integrabili con forme di psicoterapia più o meno complesse, in quanto offrono un buon terreno di mediazione fra la vita emotiva e gli schemi cognitivi. Nota importante: laddove i soggetti difettino di abilità cognitive complesse, necessarie a fruire di una psicoterapia interpretativa, e debbano pertanto far uso di terapie psicofarmacologiche (che bypassano le strutture cognitive), il gruppo può creare anche per loro un buon terreno di conforto sociale e contenimento affettivo.

In secondo luogo, la scoperta dei neuroni specchio spinge a indirizzare sempre di più la prassi psicoterapeutica ad analizzare le relazioni affettive, le identificazioni e i modelli interiorizzati, al fine di risolvere i conflitti interni alla personalità. Infine, nell’interazione fra psicoterapia e psicofarmaci, poiché la psicoterapia è adatta a soggetti dotati di attitudini cognitive complesse, che nel loro caso non devono essere bypassate, ma al contrario sollecitate e utilizzate al meglio, l’uso degli psicofarmaci deve essere inteso a moderare, per la via biochimica, gli eccessi emotivi relativi agli stati di conflitto e disorganizzazione interna (ansia, panico, depressione, ossessione, stati persecutori) nell’attesa che la psicoterapia modifichi le mappe neuronali (gli “schemi mentali”) che riproducono all’infinito il conflitto interno.

Glossario

Empatia

La parola empatia deriva dal greco en e patheo, ossia “dentro” e “sentire”. Per empatia si intende dunque l’attitudine della psiche a sentire dentro di sé le emozioni, i sentimenti e le intenzioni che animano la psiche delle persone con le quali entriamo in contatto.