Nicola Ghezzani

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Nicola Ghezzani vive e lavora a Roma. È psicologo, psicoterapeuta, formatore alla psicoterapia e autore di numerosi saggi, articoli, libri. Ha formulato i principi della psicoterapia dialettica. Scrittore da sempre, ha dedicato una parte considerevole del suo lavoro psicologico, terapeutico e di ricerca alle dotazioni psichiche e alla creatività.

Intimità affettiva e salute mentale

Una riflessione di ordine generale

La psicologia non è una scienza neutra (posto che questa definizione abbia un senso). Le teorie della psiche nascono da diversi “punti di vista”, cioè da peculiari assunzioni di principio da cui discende tutto l’edificio teorico. Dire, per esempio, che l’uomo è un animale mosso da istinti, come faceva Freud, è affatto diverso dal dire che l’uomo è un essere intellettuale mosso da visioni collettive e da volontà e progetti individuali, come invece affermava Jung. Due punti di vista molto diversi da cui son discese teorie opposte.

Che alla base di ogni teoria esista un particolare “punto di vista”, una “visione del mondo” (una weltanschauung come dicevano i filosofi tedeschi) è anche per la psicoterapia un dato di fatto fondamentale. Prima di poter effettuare un qualsivoglia intervento terapeutico, ogni pratica psicoterapica deve mettersi in grado di definire quale sia il suo nocciolo teorico, il suo concetto-cardine, cioè che cosa sia la salute mentale.

Senza questa definizione preliminare, almeno implicita, è impossibile agire.

“Ceneri (dopo la caduta)” (1894)

Fino ad alcuni decenni fa, gli psichiatri e gli psicoterapeuti indicavano, più o meno tutti, come base della salute mentale una buona integrazione sociale: famiglia e affetti stabili; per gli uomini, il lavoro e una sostanziale accettazione della gerarchia sociale, e, per le donne, l’accettazione della maternità: erano questi i valori sociali di base, integrati i quali si affermava che la persona fosse mentalmente sana. Parametri non difficili da raggiungere, sicché una quota elevata della popolazione appariva sana.

Questo criterio di valutazione resta ancora oggi molto diffuso, ma non è più il criterio dominante. È stato infatti compendiato, se non del tutto sostituito, da un nuovo metro di misura. Da almeno trent’anni il parametro della salute psicologica dell’individuo è l’autonomia, ossia la capacità dell’individuo di essere indipendente. Cosa anche questa non troppo difficile da realizzare – sebbene più della semplice integrazione sociale – se si considerano come caratteristiche dell’autonomia psicologica e sociale l’indipendenza economica e la capacità di gestire un lavoro, una casa e relazioni sessuali.

A ben vedere, però, sia nel caso dell’integrazione sociale che in quello dell’autonomia, si tratta di criteri di valutazione “esterni”, che riguardano cioè l’identità sociale dell’individuo (nel primo caso, famiglia, lavoro, obbedienza alla gerarchia e ai valori tradizionali e, nel secondo, intraprendenza, capacità di disimpegno, socievolezza, relazioni sessuali...). Criteri talmente “esterni” che mi arrischierei a dire che rappresentano definizioni sociologiche della normalità, piuttosto che psicologiche. Per “psiche” dobbiamo intendere qualcosa di più intimo, che coinvolga i vissuti emotivi e i sentimenti dell’individuo.

Io, per lo stesso fine della valutazione della salute mentale individuale, propongo di assumere un criterio di valutazione più chiaramente psicologico: l’intimità o, per meglio dire, la capacità di intimità affettiva e di relazione d’amore.

Ebbene, se assumiamo questa capacità come parametro della salute, ecco che ci si rivela tutt’altro quadro. Osservati da questa angolazione, non sono molti gli esseri umani che mostrano di sapere sostene l’intimità profonda e il processo amoroso. Questa strana incapacità è ben registrata da un fenomeno paradossale: le madri, sempre più numerose, terrorizzate dal rapporto intimo con il neonato. E da un altro fenomeno non meno paradossale: i numerosissimi uomini e donne che, svegliandosi d’improvviso da una condizione di efficiente autonomia o di adeguata integrazione sociale, intuiscono l’esistenza di un ulteriore grado di salute, che sfugge loro e li tormenta.

Ho vissuto al dieci percento diceva di sé il poeta Eugenio Montale, in qualche modo ricalcando l’affermazione di Freud che ciascuno di noi è solo l’ombra di ciò che potrebbe essere. Affermazione a tal punto vera che teorici di straordinaria lungimiranza come Carl Gustav Jung e Donald Winnicott hanno impostato tutta la loro psicologia sull’analisi delle forme di esistenza mancate e sul processo di ricerca del vero sé.

Di fatto, la gran parte di noi vive una vita mutilata, impoverita da forme di controllo e di autolimitazione di cui il più delle volte non ha nemmeno consapevolezza. Vite devolute a un ordine impersonale che soffoca le istanze più autentiche dell’io.

La rinascita non è cosa facile, anche perché – come ho detto in un mio libro recente – se vuoi rinascere devi prima morire. E c’è un’arte del morire nella psiche che è ormai andata perduta.

La mail che segue è un impressionante esempio di questo universale e drammatico fenomeno. Faccio seguire alla mail la mia risposta, nella quale ho voluto dare alla lettrice non solo una spiegazione della sua sofferenza, ma anche qualche linea di percorso per ritrovare la speranza.

Ho evidenziato nel testo le frasi più significative.

La mail

Gentile Professor Ghezzani,
sono una donna di 50 anni e sto vivendo una crisi matrimoniale per me poco decifrabile. Non si tratta infatti di un matrimonio “fallito”, di tradimenti o cose del genere, ma di un mio particolarissimo stato d’animo nei confronti di mio marito.

Il mio disagio, la mia ansia la mia insonnia sono divenuti insopportabili pochi mesi or sono. Infatti nei due anni precedenti avevo assistito in tutta tranquillità, ma anche con estrema insoddisfazione, ad un avvilimento del rapporto di coppia: non parlavamo quasi più, non dormivamo più insieme ma continuavamo come se nulla fosse. I miei tentativi di chiarire cosa ci stesse succedendo come al solito naufragavano nel nulla oppure in litigi che il giorno dopo erano già dimenticati.

A gennaio mio padre ha avuto un ictus e sono seguiti due mesi di indicibile sofferenza fino a che quasi improvvisamente sono riuscita, con mio grande sforzo, (ma anche con sorpresa) a creare un distacco tra me e la sua situazione. Ho continuato sì ad occuparmene ma non a tempo pieno e soprattutto cercando di lasciare spazio anche ad altre sfere della vita (il lavoro, nel quale ho degli incarichi di una certa responsabilità, e la famiglia: ho tre figlie).

Ho avuto allora la sensazione di aprirmi ad un mondo quasi sconosciuto dal momento che paradossalmente proprio nel momento in cui mio padre stava effettivamente male mi ero quasi liberata della paura che un giorno potesse morire, paura che mi sono trascinata dietro fin da quando ricordo di avere avuto coscienza. Nessun momento poteva essere lieto perché sullo sfondo aleggiava sempre la figura di mio padre che sarebbe potuta venir meno da un momento all’altro. Quando ero piccola dicevo di non voler mangiare per non crescere ed impedire così che i miei genitori diventassero vecchi e morissero.

“La donna in tre fasi (la sfinge)” (1894)

Ad un certo punto, quasi improvvisamente ho cominciato a provare per mio marito una grande attrazione, come quella che c’era nei primi tempi del nostro rapporto e che a momenti riemergeva ma che ormai non ricordavo più. Era come se avessi voluto godermi la vita con lui come non avevo mai fatto prima; mi sono sentita più in forma, più forte, ho iniziato a curare il mio aspetto, cosa che non facevo da tempo, è cambiato in meglio il mio rapporto con il lavoro e con le mie figlie.

Ma insieme a questi sentimenti positivi sono sorte alcune domande che mi hanno gettato nel panico. Avevo la continua sensazione che questo desiderio fosse soltanto mio e che invece questa mia “rivoluzione emotiva” mettesse e non poco a disagio mio marito. Del resto ho cominciato a chiedermi come mai in tutto questo tempo mio marito non avesse avuto alcuna iniziativa per rinnovare il nostro rapporto. Come fosse possibile che un uomo della mia stessa età non avesse, né sentisse il bisogno di avere, rapporti sessuali. Forse non era affatto vero quello che io davo per scontato e cioè che fossi io a non amarlo più. Forse era vero il contrario. Fosse stata vera questa ipotesi allora quel quieto vivere a cui mi sembrava essersi adeguato nascondeva in realtà altri legami sentimentali, che lui si era creato nella mia lunga assenza sessuale.

Da qui è nato uno stato d’ansia pazzesco che non riesco a controllare e che finisce per riverberarsi sul nostro rapporto e soprattutto su me stessa: non passa giorno che io non abbia fortissimi stati d’ansia incontrollata, attacchi d’ira. Tra l’altro non ho mai appetito e dormo pochissimo.

Quanto vorrei, almeno così mi sembra, godermi un po’ la vita, diventare più consapevole e autonoma, anche a rischio di rinunciare all’uomo con cui sto da 32 anni e che mi sembra proprio di amare (ma è davvero così?).

Avrei davvero bisogno del suo aiuto. Cosa posso fare?

Angela X

Analisi del testo

Prima di rispondere alla lettrice volli fare una rapida analisi del testo, che qui riporto in sintesi.

Il padre e il super-io familiare

Innanzitutto mi aveva colpito la descrizione del rapporto col padre.

Il padre doveva essere stato per Angela una sorta di mito vivente. L’unione familiare era molto solida e il padre ne rappresentava l’autorità suprema. Da questo stato di cose, derivavano sia il rispetto per il padre, sia il terrore di veder finire con lui il mondo così come lei lo conosceva: con lei dipendente e sottomessa come una bambina all’integrità familiare.

Angela lo dice con molta chiarezza: Nessun momento poteva essere lieto perché sullo sfondo aleggiava sempre la figura di mio padre che sarebbe potuta venir meno da un momento all'altro. Quando ero piccola dicevo di non voler mangiare per non crescere ed impedire così che i miei genitori diventassero vecchi e morissero.

Non sa però che la sua età affettiva è rimasta la stessa di quei momenti di angoscia infantile e giovanile nei quali aveva temuto la morte del padre.

In senso psicodinamico, il padre rappresentava il suo super-io, il garante dell’ordine del sistema familiare e personale. Perciò doveva vivere, vivere in eterno, come un dio; e lei gli aveva consacrato il suo ordine affettivo e sessuale grigio e apatico.

Le fantasie liberatorie

Non di meno, Angela aveva sviluppato fantasie liberatorie rimaste inconsce, che sono venute alla luce di recente, allorché il padre ha perso la facoltà del pensiero (in conseguenza dell’ictus). È da allora infatti che Angela ha lasciato erompere la sua grande fame di amore e di sesso.

Anche a questo proposito lasciamo parlare lei, che lo dice con estrema intensità: Ad un certo punto, quasi improvvisamente ho cominciato a provare per mio marito una grande attrazione, come quella che c’era nei primi tempi del nostro rapporto e che a momenti riemergeva ma che ormai non ricordavo più. Era come se avessi voluto godermi la vita con lui come non avevo mai fatto prima; mi sono sentita più in forma, più forte...

In apparenza, dunque, Angela è una donna bene integrata: ha non una ma due famiglie, quella col padre e quella col marito, tre figlie, un lavoro importante e la piena autonomia economica. Eppure sta male.

Il senso di colpa e il rischio psicopatologico

È venuta fuori una parte della sua personalità che non conosceva: frustrazione, desiderio erotico e un nuovo incipiente innamoramento per suo marito.

Ma il marito è colto di sorpresa; o forse lei non lo ha voluto risvegliare davvero dal torpore affettivo durato per anni.

Angela comincia a sviluppare allora una gelosia morbosa. Immagina il marito capace di tradirla. Il punto è che proietta su di lui la stessa freddezza con la quale lei sta “tradendo” il padre, sta cioè rivendicando piacere sessuale proprio mentre lui rischia di morire. Prova un senso di colpa, ma questo rimane del tutto inconscio. E poiché si sente nel giusto, immagina che ad essere in colpa sia il marito: lui è un essere freddo e disponibile al male, cioè a tradirla.

Di fatto, con le idee ossessive, Angela si sta punendo per la sua ritrovata vitalità; ma poiché non si sente in colpa non sviluppa una depressione. Ella al contrario si sente nel giusto, quindi sviluppa una ideazione ossessiva accusatoria, che potrebbe portare a violenti conflitti di coppia o anche a un micro-delirio, comunque ad un ritorno del vecchio autocontrollo ossessivo sull'eros, sull’amore e sulla gioia di vivere.

Ecco come lei stessa si mostra consapevole del rischio abissale che sta vivendo: Da qui è nato uno stato d’ansia pazzesco che non riesco a controllare e che finisce per riverberarsi sul nostro rapporto e soprattutto su me stessa: non passa giorno che io non abbia fortissimi stati d’ansia incontrollata, attacchi d’ira. Tra l’altro non ho mai appetito e dormo pochissimo.

Nella sua psiche destabilizzata, il marito è diventato l’erede dell’ordine paterno, ma in modo rovesciato. Tanto amava il padre quanto ora odia il marito.

Conclusioni

Angela è disperata (e per questo mi scrive) perché sta sperimentando di nuovo il blocco della vita amorosa, ma con l’aggravante che ora non dispone dell’amore per il padre e odia il marito. E’ totalmente sola. Il tentativo di far risorgere l’amore per la vita su basi passionali è fallito. Non ha alcuna capacità di far nascere e alimentare una vera e intensa intimità affettiva.

Perché esca fuori da questo pericoloso stato di squilibrio, occorrerà da parte sua una precisa e netta assunzione di responsabilità sul desiderio erotico nato mentre il padre rischiava di morire, sull’odio per il marito forse innocente, e una presa di coscienza della necessità di essere umile per comunicare e condividere il suo bisogno di amore.

Fatta questa analisi, ero ormai pronto a risponderle. Sarebbe stata una risposta chiara e semplice, ma non drammatica. Volevo spingerla ad agire, ma senza turbarla.

La mia risposta

Gentile Angela,
la sua è una mail molto toccante. Lei ha vissuto per decenni in uno stato di anestesia affettiva, uno stato nel quale non si è presenti alla propria vita emotiva e sentimentale. In uno stato di anestesia affettiva, non solo non ci si interroga sulle nostre relazioni umane, ma anche il rapporto con se stessi risulta atono, vuoto, privo di speranza.

Per anni lei ha fatto il suo dovere con la sua famiglia originaria, ma dimenticando se stessa.

Quando suo padre si è ammalato, si è sentita liberata dall’angoscia che il suo stato potesse dipendere in qualche modo da lei, da una sua responsabilità diretta o indiretta, come il non averlo accudito e curato. Questo pensiero l’ha sollevata. Ma poi ha anche pensato che stesse per terminare una parte della sua vita, quella sacrificata alla morale familiare, e ha voluto recuperare il tempo perduto.

Libera dall’angoscia è esploso l’erotismo, la vita sepolta sotto la cenere.

Ora lei si chiede se a questo erotismo coincide l’amore di suo marito. E il dubbio è tormentoso, perché in questi anni non ha sviluppato strumenti per “sentire” la vita erotica di suo marito e in verità di nessun altro. Non ha sviluppato la capacità di darsi delle risposte che solo il cuore può dare.

Ora purtroppo il suo tormento è cresciuto oltre misura e le è sfuggito di mano.

Impari a coinvolgere suo marito nelle sue domande e impari a “sentire” le reazioni del suo corpo, a interpretarne le espressioni del viso, a godere con lui. Impari a confidarsi direttamente e con semplicità, senza cedere al sospetto. E non si tormenti degli anni passati in quella vecchia anestesia.

Ma per farlo, per capire fino in fondo e risolvere i suoi problemi, non si proibisca di chiedere aiuto ad un tecnico: uno psicologo potrà aiutarla adeguatamente. Quindi, se non può venire da me, cerchi qualcuno di fiducia nella sua città.

Un caro saluto
Nicola Ghezzani