Nicola Ghezzani

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Nicola Ghezzani vive e lavora a Roma. È psicologo, psicoterapeuta, formatore alla psicoterapia e autore di numerosi saggi, articoli, libri. Ha formulato i principi della psicoterapia dialettica. Scrittore da sempre, ha dedicato una parte considerevole del suo lavoro psicologico, terapeutico e di ricerca alle dotazioni psichiche e alla creatività.

La dipendenza affettiva

Amore e mal d’amore

Dopo la pubblicazione di Perché amiamo (Maggio / Giugno 2013) e del romanzo Cadenza d’inganno (prevista per l’estate del 2014), sempre per la collana La scienza dell’amore, editore Sonzogno, ho in programmazione un nuovo saggio psicologico, dedicato questa volta alla dipendenza affettiva.

Si tratta di un lavoro di ampia portata sulla sofferenza d’amore. Ecco l’incipit.

È più o meno dalla fine degli anni Ottanta che si parla di una nuova “malattia”, la dipendenza affettiva, uno stile di relazione caratterizzato da un drammatico e ossessivo desiderio amoroso.

“Francesca Woodman in studio n. 16”

Chi patisce questa condizione ama con intensità parossistica anche nel caso in cui il partner designato frustri, rifiuti o persino sfrutti il sentimento di cui è fatto oggetto. Più l’amato si sottrae, più la passione si esaspera: l’innamorato non riesce a prendere atto del reale stato delle cose, dei reali sentimenti della persona desiderata e vive il suo amore oscillando di continuo fra l’illusione e la delusione, fra la passione e la disperazione. Su tutto domina un sentimento di urgenza angosciosa – più o meno mascherata dalle atmosfere romantiche – che annulla l’analisi della realtà e il rispetto della volontà dell’altro.

Poniamoci subito qualche domanda che ci aiuti a chiarire meglio il concetto di dipendenza affettiva e quale sia la sua effettiva natura.

Chiediamoci: in cosa consiste questa particolare forma di sofferenza psichica? Si tratta davvero di una malattia, cioè di un processo interno ad una psiche individuale, con un avvio, un decorso e un esito infausto? Se è così, si tratta allora del modo di innamorarsi di un individuo che sin dal principio si vuole condannato alla sconfitta e alla sofferenza? È insomma il modo di amare tipico del masochismo affettivo? O si tratta invece di una relazione potenzialmente sana nella quale un innamorato spinto da una intensa passione viene frustrato e portato all’esasperazione da un partner indifferente? È, in questo senso, un innamoramento unidirezionale, un amore umiliato ed esasperato dal rifiuto opposto dalla persona amata? E allora, se si tratta di un desiderio autentico, a quale fase, a quale stadio del processo amoroso coincide? Oppure – altro dubbio – è una potente attrazione del tutto egocentrica e incapace di porsi su un piano di reciprocità, cioè di domandarsi quale sia la natura dei sentimenti dell’altro, come accade nelle infatuazioni?

Alla luce di queste prime domande, di questi primi dubbi, la dipendenza affettiva potrebbe essere tanto infatuazione, quanto amore unidirezionale o masochismo affettivo. Ebbene, quale che sia il caso, esiste una soluzione? In che modo si può superare lo stato di sofferenza prodotto dall’amore irrealizzato?

Nella mia attività psicoterapeutica ho osservato centinaia di casi, forse migliaia, che potevano essere ricondotti ora a una ora a un’altra di queste complesse tipologie. E isolandolo nella sua specificità ho osservato che il comportamento del dipendente affettivo differisce da quello del vero innamorato per pochi sottili tratti, che diventano evidenti solo ai livelli più gravi della patologia.

In effetti, il comportamento del dipendente presenta delle ricorrenze identiche a quelle dell’innamorato, ma poi, crescendo di intensità e rendendo trasparente la sua natura di fondo, tende a differirne. Esso nasce all’interno di un processo che si sviluppa sommariamente in tre fasi.

In una prima fase, il dipendente affettivo si innamora e manifesta un desiderio intenso e ansioso. Il suo stato emotivo è gravido di domande: piacerà al suo amato? Ne sarà riamato? Questa prima fase ha gli stessi tratti che caratterizzano ogni innamoramento. Ma c’è però un elemento che già da questa prima fase potrebbe consentire di distinguere la dipendenza da un genuino innamoramento: il difetto di empatia, la difficoltà a mettersi in una relazione chiara e onesta con i desideri del proprio oggetto d’amore. Il dipendente – come peraltro accade anche in molti innamoramenti – non vuol saperne nulla di una risposta negativa, non la prende nemmeno in considerazione. Sicché si espone a un’altalena di illusioni e delusioni.

In una seconda fase, se l’amato non dimostra nessuna particolare attrazione, i dubbi latenti prendono il sopravvento e il dipendente comincia a tormentarsi: perché l’amato non lo ama? Forse non lo trova attraente? Oppure egli è in fondo un individuo insensibile e privo di cuore? In questa fase il dipendente affettivo è pervaso di angoscia e rabbia molto di più quanto non accada al comune innamorato che, se insidiato dal dubbio, lo fa sempre alla luce di una certa matura rassegnazione. Il vero innamorato ha sempre come mira la volontà del suo amato, non riesce a coartarla, quindi se il volere del suo amato gli è contrario, egli ne prende atto. Vive il dolore del rifiuto, ma si dispone a rispettarlo, perché ama e quindi non può opporsi alla persona amata. Per contro, il dipendente affettivo adopererebbe qualunque strumento di persuasione pur di ottenere il risultato voluto; di fronte al suo amato non si commuove, non avverte la tenerezza del distacco così necessaria al sentimento del rispetto; al contrario, prova dispetto e angoscia e lascia prevalere le sue esigenze egoistiche.

“Apollo e Dafne”

Infine, nella terza fase, quella più propriamente patologica del complesso processo di strutturazione di una dipendenza affettiva, sentendosi o essendo di fatto rifiutato, il dipendente indirizza alla persona amata una disperazione, un tormento, una rabbia, una violenta fantasia di controllo, che sembrano non avere limiti e hanno pace solo se l’altro cede. Quest’ultima fase non ha più nulla a che fare con l’innamoramento: prevale l’esasperata esigenza di imporre il proprio potere a qualunque costo, pena la sensazione di un agghiacciante annientamento dell’Io. Si tratta, in questo caso, di una dipendenza vera e propria che manifesta il disperato tentativo di controllare mediante la lusinga, la preghiera, la violenza rivolta a se stesso o all’altro il dramma insopportabile del rifiuto.