Nicola Ghezzani

Foto di Nicola Ghezzani

Nicola Ghezzani vive e lavora a Roma. È psicologo, psicoterapeuta, formatore alla psicoterapia e autore di numerosi saggi, articoli, libri. Ha formulato i principi della psicoterapia dialettica. Scrittore da sempre, ha dedicato una parte considerevole del suo lavoro psicologico, terapeutico e di ricerca alle dotazioni psichiche e alla creatività.

Narcisismo isterico e dipendenza affettiva

L’individualismo anestetico

Resto sempre abbastanza stupito della difficoltà che hanno non solo tanti specialisti, ma anche gente di elevata cultura nel comprendere il rapporto che intercorre fra il mondo sociale e il malessere psichico. Il mondo sociale sta alla base della nostra identità: attraverso genitori e famiglia, scuole e chiese, istituzioni e media ci accudisce dall’alba al tramonto della vita e mentre ci accudisce modella le nostre reti neurali e i nostri equilibri biochimici. La società crea ideologie, pone mete, dà indirizzi, orienta le nostre emozioni e i nostri sentimenti e in forza di ciò può distorcere la nostra personalità fino a produrre malessere. Tanto più se le sue ideologie vengono assunte e interiorizzate in modo acritico. I modelli sociali sono talmente diffusi nel corpo sociale da apparirci ovvii, persino “naturali”, mentre sono unilaterali e parziali, come ogni altro suggerimento ci provenga dal mondo umano e non dalla natura.

“Tied up torso”

Quello attuale è un mondo caotico e tendente all’anomia, a un disordine dinamico nel quale principi d’ordine si formano e si distruggono in un breve lasso di tempo. Le nazioni si aggregano e si sfaldano, i popoli sono fra loro in competizione, l’economia è governata dai principi speculativi della finanza, una classe dominante (composta da politici e finanzieri) si stacca attraverso l’inganno e il cinismo dal resto della popolazione e su tutto domina la cieca “volontà di potenza”. Ovunque, l’amore è minacciato di estinzione da una logica imperativa, che si va diffondendo a macchia d’olio in ogni luogo della terra. È la logica dell’individualismo anestetico. Per individualismo anestetico intendo quella forma dell’identità per la quale avvertire sentimenti che mettono il proprio Io nelle mani di un altro, in una relazione di dipendenza o anche solo di condivisione, induce intollerabili sentimenti di vergogna, angoscia e senso di minaccia e provoca reazioni di rifiuto e di difesa, che possono giungere fino alla totale anestesia affettiva.

Mai come in questo periodo ho in terapia madri che ignorano ogni sentimento materno e, dopo aver indotto nei figli, anche neonati, reazioni di ripulsa, lamentano che questi le odiano fin dalla nascita. Per giustificare la loro assurda sensazione accampano l’ipotesi che i figli siano affetti da qualche misteriosa tara biologica, facendosi forti della moda attuale che vede l’autismo infantile in ogni minimo segno di ritiro emotivo difensiva. In altri tempi, più religiosi e superstiziosi, si sarebbe parlato senza remore di bambini posseduti dal demonio. Queste donne proiettando con evidenza sui loro figli anche piccolissimi una paura ed una avversione per il legame che è invece loro. Nella loro vita psichica domina l’angoscia della simbiosi, del parassitismo e dello sfruttamento emotivo.

In epoca individualista, ogni legame viene temuto, a meno che non venga utilizzato come banco di prova per la propria forza e strumentalizzato a fini egoistici. L’individualismo anestetico si rivela, in questo senso, come una vera e propria idolatria della forza. L’individuo preso nelle sue maglie si vuole libero da ogni affetto implichi legame, condivisione, dipendenza; e per ottenere questa libertà è disposto a sacrificare la vita di relazione e a immolarsi a qualunque cosa lo faccia sentire forte: egoismo apatico, freddezza emotiva, calcolo razionale, etica del lavoro e del successo, competizione, piacere dello sfruttamento.

L’antica paura di essere sfruttati (tipica di ogni periodo storico) è stata oggi raccolta entro questa nuova e imperativa ideologia: essere autonomi non significa, come dice l’etimo, decidere in piena libertà le proprie scelte, bensì non dover dipendere mai da nulla e da nessuno e dimostrare sempre di essere i più forti.

L’autonomia, da categoria politico-filosofica che è sempre stata, diviene allora un mito ideologico universale, propinato in tutte le salse dai media e dalla stessa psicologia. Forte delle antiche e mai tramontate angosce di povertà o di schiavitù, il mito dell’autonomia prescrive la lotta senza quartiere contro ogni forma di dipendenza (dipendenza dalle droghe, dalle persone, dal cibo, dal gioco d’azzardo, dallo shopping, persino dal gelato e dalla cioccolata) e spinge la moderna soggettività in direzione di un’illusoria autosufficienza.

Fotografia di Helmut Newton

Dal suo radicamento nella personalità nascono tanto strutture caratteriali integrate in una trama sociale incentrata sull’egoismo amorale, quanto vere e proprie e talvolta gravi sindromi psicopatologiche. Una sindrome psicopatologica oggi molto diffusa è quella che ho chiamato anoressia sentimentale, sulla quale ho scritto un libro, La paura di amare (1), che affronta il problema e lo descrive in modo ampio ed esaustivo. Nell’anoressia sentimentale gli individui non riescono ad amare, e talvolta nemmeno a desiderare, perché ciò li fa sentire deboli, e quindi “perdenti”, sia nei confronti dell’altro che dei propri stessi impulsi.

La personalità narcisista isterica

Gli effetti che il nuovo mito individualista anestetico comporta in campo amoroso sono devastanti: la vecchia struttura dell’amore, basata sul desiderio, l’empatia, la fiducia, la passione, la dedizione nei confronti dell’amato, ne fa le spese in modo drammatico.

Le soggettività moderne sono pervase dall’angoscia di solitudine e dalla nostalgia dell’amore nella misura in cui si allontanano dalla necessità naturale della condivisione. Più domina il terrore di cadere in una dipendenza fiduciosa da un altro essere umano, che temiamo possa sfruttarci, dominarci o anche soltanto limitarci, più siamo pervasi da un sentimento di smarrimento e di perdita senza fine. Questa angoscia, con la connessa ambivalenza amore-odio per la persona desiderata o amata, è la base di una struttura di personalità che potremmo chiamare narcisismo isterico.

Il narcisista isterico incentra tutta la sua vita sulla necessità del conflitto e sul perseguimento del dominio relazionale. È un soggetto che, piuttosto che isolare il suo mondo interno dalla relazione, come spesso fa l’anoressico, lo espone agli affetti secondo un modello seduttivo (egli appare mite e buono, oppure simpatico e brillante, o ancora umano e soccorrevole, persino sacrificale); ma poi, ottenuta la fiducia o la dedizione amorosa, ne fa un uso umiliante: egli si rivela aggressivo e violento, freddo e denigratorio, sfidante e conflittuale e infine sadico e manipolatorio. In ogni caso, questa sua seconda identità, che si rivela dietro la maschera accattivante, lo difende dal legame affettivo rovesciandolo in un rapporto di forza, improntato a una pervasiva e angosciosa fantasia di dominio.

Il modo di essere isterico è dunque tale da produrre individualità double-face, a due facce: nell’uomo un carattere con apparenze disponibili e persino romantiche, ma con sottili o esplosivi comportamenti sadici che si mostrano dietro la maschera, una vota ottenuto il consenso; nella donna un carattere talvolta dolce, talaltra passionale, e con un sottofondo di insicurezza, ansia, bisogno di conferma, animato da una parallela e contraddittoria tendenza alla provocazione, alla sfida, all’accusa, al disprezzo, alla manipolazione, al tradimento.

Non di rado questa modalità relazionale si ribalta nell’opposto di improvvisi sensi di colpa, che segnalano una coscienza parziale della disumanizzazione in atto. La drammatica alternanza emotiva, animata dalla violenza e poi da drastici e tormentosi sensi di colpa e altrettanto brusche regressioni nel pentimento e nella sottomissione configura l’ormai classica dipendenza affettiva col tremendo corollario della co-dipendenza, nella quale uomo e donna si scambiano i ruoli della vittima e del carnefice1.

La dipendenza affettiva

Le donne dipendenti affettive si muovono come falene attratte dalla luce. Qualche volta alla luce corrisponde il fuoco, e allora si bruciano e muoiono. La luce che attrae questo tipo di dipendente affettiva è la forza e, per essere più esatti, l’insensibilità.

La donna dipendente vive su un doppio registro: mostra a se stessa e agli altri la sua innocenza, inermità e vulnerabilità affettiva. Ella si vede come una donna fragile o comunque resa fragile dall’innamoramento. Ma su un altro piano è tremendamente attratta dalla forza, una forza che vorrebbe sua, ma che, non potendolo ammettere, proietta sull’uomo, vive attraverso di lui.

Pertanto nella dinamica amorosa di questo tipo di dipendenza affettiva, l’uomo è dapprima idealizzato come perfetto, poi denigrato come imperfetto, debole o in malafede, o anche perfido e immorale, infine è odiato e attaccato come un mostro. Cosa talvolta verosimile, dato che la dipendente affettiva ha scelto il suo partner proprio per le sue caratteristiche di narcisista autocompiaciuto e di egocentrico insensibile. Ciò produce dinamiche conflittuali senza esito, veri e propri giochi senza fine. In alcuni casi, il gioco fa sì che i due giocatori si scambino i ruoli in un’altalena senza fine. Ma il più delle volte il gioco si ripete inalterato: la dipendente si sottomette ad ogni più sottile o palese umiliazione, poi esplode e aggredisce, quindi si pente e invoca il perdono divenendo così sempre più masochista e servile.

“Salvador Dalí con Gala”

Da qui la dolorosa alternanza fra momenti di soggezione romantica e altri in cui si avvia una ribellione, mediante accuse (più o meno vere), insofferenza e sfida, infine mediante il distacco. Ad esso segue l’angoscia di perdita, di solitudine, il sentimento di colpa, quindi il sentirsi debole e abbandonata e il bisogno di tornare a dipendere dall’uomo ripudiato o da un altro partner con caratteristiche simili. Richieste, rivendicazioni, rabbie furenti, attacchi, separazioni e poi di nuovo paura di abbandono e sensi di colpa fino al pentimento, lo smarrimento e il ritorno alla dipendenza. Benché contestato, il partner è riconosciuto come “più forte” e proprio per questo risulta “vincente” e perciò stesso ammirevole.

Attratta dal rifiuto e dall’abbandono, la donna torna a cercare l’uomo per essere di nuovo ammessa alla sua benevolenza. Purtroppo, la forza maschile da cui ella è ammirata coincide con l’insensibilità – ossia una brutalità innata o la ricercata l’anestesia della vita affettiva – e il partner non solo non è in grado di capire la sofferenza della donna, ma ripete il gioco per l’angoscia innominabile di essere lui catalogato nella categoria delle donne, cioè degli schiavi.

Una riflessione sulla propria segreta idolatria della forza e quindi sull’inconscio disprezzo di se stessa come individuo bisognoso, sensibile, dipendente e innamorato potrebbe aiutare la donna a capire e superare la dinamica circolare di dipendenza e di ricerca autolesionista del partner anaffettivo.


Note

  1. Sull’argomento ho scritto più di un libro: 2 e 3 affrontano i casi più gravi, che esitano spesso in quella patologia di coppia che ho chiamato collusione sado-masochista (la co-dipendenza); in 4 parlo delle più diffuse disfunzioni della relazione d’amore offrendo precisi suggerimenti terapeutici.

Bibliografia

  1. Nicola Ghezzani, La paura di amare, Franco Angeli, Milano, 2012.
  2. Nicola Ghezzani, Volersi male, Franco Angeli, Milano, 2002.
  3. Nicola Ghezzani, Quando l’amore è una schiavitù, Franco Angeli, Milano, 2006.
  4. Nicola Ghezzani, Perché amiamo, Sonzogno, Milano, 2013.