Nicola Ghezzani

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Nicola Ghezzani vive e lavora a Roma. È psicologo, psicoterapeuta, formatore alla psicoterapia e autore di numerosi saggi, articoli, libri. Ha formulato i principi della psicoterapia dialettica. Scrittore da sempre, ha dedicato una parte considerevole del suo lavoro psicologico, terapeutico e di ricerca alle dotazioni psichiche e alla creatività.

Ortoressia

L’ossessione dietetica è una nevrosi?

Glossario: ortoressia

Il termine ortoressia deriva dalla lingua greca: dall’aggettivo orthòs: giusto, corretto; e dal verbo orèxis, appetito, da orìgo, appetire, desiderare. Così come anoressia significa “impulso a non appetire”, ortoressia significa “impulso ad appetire in modo corretto”, cioè: ossessione per i cibi sani, mania per la disciplina dietetica.

Premessa. Una patologia della normalità

Non sempre un disturbo della psiche è qualcosa di visibile e individuabile dal senso comune, come invece di solito si pensa. Talvolta è invisibile perché non è in contraddizione col senso comune. Non di rado, infatti, sono proprio gli stili di pensiero più correnti e i comportamenti più diffusi in un corpo sociale che, manifestando o occultando al proprio interno modalità psicologiche disfunzionali, sono da considerare come patologici. Insomma una società può essere malata. Ma secondo quali parametri lo è? Come possiamo affermarlo?

“Bekennen”

Patologico non è ciò che si discosta dal senso comune; è piuttosto ciò che si discosta da principi-base della natura umana, che possono essere trasgrediti da intere società – che pure si considerano “sane”. La violazione di questi principi-base produce una società globalmente insana, malata, con disfunzioni nelle relazioni affettive o generiche e personalità abnormi, inclini ora alla depressione (come in certe culture religiose) ora al sadismo (come nelle società guerriere e nel moderno individualismo) ora a comportamenti autolesivi (come in quelle società viriliste dove è “uomo” solo chi fuma un pacchetto al giorno, o beve fino all’ubriachezza o ancora picchia e si fa picchiare, oppure corre in auto ecc.).

Quando la società si rende anche solo in parte consapevole di queste anomalie, corre ad una loro correzione, pena la sofferenza o in taluni casi persino la scomparsa della società stessa.

In questo senso, occorre ammettere che esistono psicopatologie celate dietro il velo di stili di vita non solo tollerati, ma persino incentivati dalla società. Per decenni, i film e le interviste alle star del momento sono stati popolati di uomini e donne avvolti nel fumo delle sigarette: solo da circa un decennio si parla del tabagismo come di una dipendenza non meno grave dell’alcolismo, anch’esso considerato nei secoli passati e nei decenni del cinema hollywoodiano come normale inclinazione al bere.

Per molti anni le riviste di moda e le sfilate hanno mostrato corpi femminili esangui, estenuati dalla disciplina del digiuno: e ci sono voluti altri anni perché la società si decidesse a parlare di una patologia alimentare specifica: l’anoressia.

Anoressia, bulimia, ortoressia

In questi ultimi anni stiamo assistendo alla diffusione di un nuovo stile alimentare che, quando portato a livelli ossessivi, va configurando una nuova forma di patologia del comportamento alimentare: l’ortoressia.

Il termine italiano ortoressia è composto da due termini della lingua greca giustapposti: l’aggettivo orthòs, che significa giusto, esatto, corretto, e il sostantivo orèxis, appetizione (desiderio), che deriva dal verbo orìgo, che significa appunto appetire, desiderare. L’ortoressia è dunque un disturbo del comportamento alimentare che consiste nell’ossessione per i cibi “giusti”, cioè “sani”, e pertanto centrato sull’attenzione maniacale per la disciplina dietetica.

Il comportamento ortoressico è “la faccia in ombra” delle psicopatologie alimentari, caratterizzati da una drammatica contrapposizione fra il comportamento soggettivo e quello auspicato dalla società.

Nel caso dell’anoressia (il rifiuto di provare il desiderio di cibo), la visibilità è massima, anche perché l’anoressico ha una compulsione ossessiva non solo (e non tanto) di carattere igienico-dietetico, quanto di carattere estetico. Egli è ossessionato dall’immagine corporea, più che dal suo stato di salute. Egualmente visibile è la bulimia (il nutrirsi in sovrabbondanza e in modo compulsivo), caratterizzata dal bisogno compulsivo di apparire a se stessi e/o agli altri soddisfacibili mediante ciò che è di facile reperimento, e quindi in fondo di bocca buona, cioè moralmente buoni; comportamento che coniuga anch’esso l’etico con l’estetico, e che proprio pertanto persegue in modo inconsapevole il fine della massima visibilità. Egualmente visibile è la anoresso-bulimia, cioè la bulimia accompagnata da vomiting (nella quale il soggetto vomita di nascosto, e spesso con sensi di colpa, ciò che ha ingerito): l’occultamento del sintomo disgustoso (l’atto del vomitare) non può prescindere dalla consapevolezza soggettiva dell’atto stesso, quindi da una sua tendenziale “evidenza per senso di colpa”. In tutti questi casi, la patologia del comportamento è oggettivamente o almeno soggettivamente visibile.

Nel caso dell’ortoressia questa contrapposizione (tra comportamento soggettivo e comportamento auspicato dalla società) sembra minima, in realtà è celata dietro l’ideologia del salutismo.

L’ideologia salutista è una sorta di ecologia medico-ginnico-dietetica, che persegue il fine di ripristinare “qui e ora” un mitico stato di perfezione naturale perduto, tale da garantire la restituzione di una salute ottimale. La lotta ascetica e ossessiva che il salutista intrattiene con la società moderna si avvale pertanto di una pretesa appartenenza ad un’élite di spiriti illuminati, ostili alle aberrazioni della modernità.

A sua volta, l’ortoressico, imbevuto d’ideologia salutista, pretende di disciplinare il rapporto col cibo in base all’idea che esso possa essere “inquinante”, “impuro”, dunque dannoso; e in ossequio al salutismo preferirebbe morire di fame piuttosto che mangiare cibi che ritenga contaminati o comunque tali da nuocere alla salute.

Una nota antropologica

Qual è la spiegazione psicologica e antropologica di tale comportamento?

Poiché col cibo noi introduciamo nel nostro corpo sostanze naturali elaborate dalla cultura, valori sociali alimentari veicolati dai genitori e dalla famiglia, se il soggetto disciplina il rapporto col cibo secondo uno stile personale o tipico di una “setta alimentare”, egli ha l’impressione di contrapporsi alla sua origine, a ciò che lo ha determinato, alla sua cultura familiare e sociale; quindi di essere distinto dagli altri, di avere una forte e incisiva personalità; e allo stesso tempo ha la sensazione di espellere fuori di sé, coi cibi impuri, l’impurità morale che egli vede (o proietta) nel mondo esterno. In ciò egli agisce come il cultore di una religione privata. In sostanza, l’ortoressico è un integralista alimentare.

In ciò egli agisce come il cultore di una religione minoritaria: basti pensare che analogo significato hanno avuto per secoli le pratiche dietetiche di alcune sette religioso-filosofiche greco-romane (come cinici e pitagorici), e di religioni come l’ebraismo, l’islamismo, l’induismo e lo stesso cristianesimo, almeno fintanto che esso si è conservato come religione autocratica e integralista.

In tal senso si può affermare che l’ortoressia contenga – come le religioni citate – un nocciolo di validità, ma estremizzato e posto fuori del controllo da parte della coscienza.

In fondo, l’ortoressico tenta di instaurare un regime di stretta e inattaccabile autonomia alimentare; ma lo fa al prezzo di organizzare una patologia ossessiva e di mimetizzare conflitti psicologici più significativi, i quali di solito implicano un più attivo e radicale rifiuto di valori più profondi, inerenti la struttura dell’identità.

Nei casi lievi e transitori (come quelli causati in passato dalle informazioni sulla BSE, il morbo della mucca pazza), l’ortoressico occasionale non arriva a sviluppare una struttura identitaria ortoressica stabile – cioè un’ossessione cronica – e quindi a causarsi un danno.

Nei casi più gravi, invece, l’ortoressico entra nell’ossessione, cambia pian piano stile di vita, si isola per difendersi da chi non condivide i suoi allarmi, vive nell’incubo di una minaccia che riesce a superare solo con la convinzione che le sue scelte siano le uniche “giuste”.

Occorre infine notare che alcuni gruppi sociali e la “cultura del corpo” presa nel suo complesso sono state corresponsabili della creazione di questa patologia. La crescente importanza che l’industria medica e quella alimentare danno all’alimentazione fa sì che i modelli alimentari dominanti abbiano perso il senso dell’equilibrio, e siano inclini a proporre modelli sempre più rigidi e selettivi, tali da fornire all’ossessivo un alibi per giustificare il proprio carattere chiuso ed autoreferenziale.

Una nota psicodinamica

Ma c’è da fare, da ultimo, una necessaria precisazione di carattere psicologico e psicopatologico.

In senso psicodinamico, l’ortoressico depura, col cibo, tutto ciò che di male egli percepisce nel mondo, quindi in primis la cattiveria umana.

Ma questa cattiveria altro non è che la violenza delle privazioni ricevute da bambino e da ragazzo e quella che continua a subire da adulto nella sua vicenda sociale. Ma ancora di più, questa cattiveria è la violenza rabbiosa che egli avverte dentro di sé come corrispettivo di quella subita. Una rabbia rimossa e che pertanto gli fa paura. La rabbia personale è per lui un dato spurio, nascosto, qualcosa di minaccioso – un veleno – da cui proteggersi sempre, pena il sentirsi avvelenato nella sua identità morale e degno perciò della sua stessa condanna.

Alla fine, sono due elementi: la paura della violenza il senso di colpa ad essa connesso, mascherati dai rigori della virtù, a dominare la mente dell’individuo ortoressico.