Nicola Ghezzani

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Nicola Ghezzani vive e lavora a Roma. È psicologo, psicoterapeuta, formatore alla psicoterapia e autore di numerosi saggi, articoli, libri. Ha formulato i principi della psicoterapia dialettica. Scrittore da sempre, ha dedicato una parte considerevole del suo lavoro psicologico, terapeutico e di ricerca alle dotazioni psichiche e alla creatività.

“Sogno o son desto?”

Una nota sulla funzione del sogno

“Il sogno di Achille” (1929), olio su tela, di Alberto Savinio.

Siamo abituati a pensare alla nostra mente come a un pilota solitario installato all’interno della cabina di comando di una gru. Dall’alto della sua postazione questo pilota dà comandi al nostro corpo. Dunque, immaginiamo il rapporto fra mente e corpo come quello fra un pilota e la sua macchina insensibile, o quello fra un padrone e un servo, un servo stupido che può ribellarsi, o quello fra un comandante e il suo esercito che può insubordinarsi, o ancora come il rapporto fra l'uomo civile e un animale da poco addomesticato, ma sempre a rischio di tornare selvatico.

Questa è la nostra concezione abituale, ma è del tutto errata. Essa risale almeno a Cartesio, per il quale mente e corpo sono separati e il fatto di esistere lo deduciamo dall’atto del riflettere: Cogito ergo sum, ossia Penso dunque sono; non Sento dunque sono. Per Cartesio il corpo non era senziente, dunque non era nemmeno pensante e come tale non poteva fornire all’individuo la coscienza di esistere. La mente era ben separata da un corpo concepito come una macchina inerte, sicché secondo lui la mente guidava questo corpo più o meno come la monarchia dell’epoca governava il popolo, considerato privo di sensibilità e volontà proprie. La proprietà di esistere si desumeva pensiero (cogito = Io penso) e la si trasferiva al corpo, dall’alto verso il basso.

Questa concezione meccanicistica della mente oggi noi la consideriamo inesatta. Ce lo dicono la biologia e la neurobiologia oltre che il senso comune. Non solo la mente non è separata dal corpo e fa tutt’uno con lui (come dimostra la presenza di un sistema neurale, un vero e proprio cervello, collocato alla base dello stomaco), ma il pilota non è affatto solo. Il fenomeno dei sogni, che sorgono allorché il pilota dorme, lo dimostra. Quando ci addormentiamo, il corpo diviene inerte, la sua temperatura si abbassa, l’attività cerebrale si dissocia dalla motilità. A questo punto, sullo schermo della mente appaiono i sogni. Scene misteriose si inseguono e accavallano come in un film surreale. Spesso nella scena onirica vediamo noi stessi, come se la nostra vigilanza fosse ora il regista ora, più spesso, il semplice spettatore di una storia nella quale siamo anche attori, più o meno importanti.

Per capire il fenomeno del sogno dobbiamo ampliare la metafora evocata al principio dell’articolo, quella del pilota installato nella cabina di comando di una gru.

In modo più aderente alla realtà, dovremmo immaginare che il pilota è la nostra coscienza vigile e che accanto a lui c’è un altro personaggio, l’inconscio, che mentre il primo lavora senza distrarsi, gli racconta tutto quello che vede, che desidera e che pensa.

“Connessione” (2010?), pastello, di Akiko Hoshino.

Cos’è l’inconscio? Il termine inconscio viene dalla psicologia e in particolare dalla psicoanalisi, dove rappresenta i pensieri che la coscienza vigile esclude perché giudicati immorali, irrazionali o semplicemente inutili. Secondo la psicoanalisi, quei pensieri sono invece ricchi di significato. L’inconscio dunque è un modo di pensiero ed è un soggetto che pensa accanto al conscio, all’io cosciente. Come tale fa scorrere i suoi pensieri su percorsi laterali rispetto alla coscienza. Per esempio, nel sogno.

Dunque, lungi dall’essere un fenomeno insignificante (nella mente nulla è inutile) il sogno aiuta a dare forma a sensazioni e idee che la nostra coscienza non ha accolto sentendole come inopportune. Concentrato nella conduzione della gru, il pilota (la nostra coscienza) sente tutto ciò che il collega immaginoso gli racconta, ma lo rimuove, lo dimentica. Il pilota non vuole distrarsi, ma poi, quando dorme, i racconti dell’amico tornano a galla. E il nostro pilota se ne lascia suggestionare e s’interroga sul loro fascino e il loro significato.

Il sogno mette in rapporto la coscienza con pensieri che provengono dall’inconscio; vale a dire con valutazioni e desideri che la nostra coscienza esclude perché le ritiene estranee sia in senso pratico che spesso anche morale. Nondimeno, ogni qual volta riesce a sintonizzarsi con esse e a capirle può vedere la vita con occhi più complessi.

Pensiamo ora al risveglio. Il sognatore si risveglia e anziché dimenticare come fa tutti i giorni il sogno appena ricordato se ne va in giro per la casa e poi per le strade con le immagini oniriche che gli ballano davanti agli occhi. La mente ne è affascinata e turbata. Di più: il sognatore è d’un tratto alle prese col suo corpo: ha la testa confusa, lo stomaco borbotta, ha una leggera nausea, non effettua con la dovuta perizia i movimenti di guida al volante dell’auto, poi camminando in strada ha lievi vertigini. Si accorge in tal modo che il corpo partecipa al dialogo che egli ha appena avviato col sogno. Ne è doppiamente turbato. Pensava di essere solo. E invece dovrà ora intendere la sua mente come un sistema di identità prese in un complesso dialogo e di conseguenza dovrà intendere la sua volontà come subordinata a un concerto di opinioni.

Nella nostra metafora, il pilota (il sognatore) si è risvegliato e, salito nella cabina di comando, si è accorto che seduto accanto a lui c’è l’amico che gli ha raccontato i suoi pensieri. Non ci aveva mai fatto caso, ma l’amico è sempre stato lì a raccontargli le sue storie. Di più, non appena avverte i sommovimenti del corpo si accorge che la gru sulla quale è salito ha cambiato forma, si è mutata in qualcosa di vivo: un enorme animale: egli è ora seduto sul dorso di un possente elefante e l’amico che gli parlava nell’orecchio non è più un collega di lavoro ma una guida indù seduta alle sue spalle. Infine, guardandosi intorno, si accorge che anche il paesaggio è mutato: la scena intorno a lui è quella di una giungla asiatica. Lui, il nostro sognatore, è un occidentale che siede sul dorso dell’elefante mentre alle sue spalle la guida indiana gli racconta le sue storie e l’elefante caracolla nervoso e possente. In un lampo, il brav’uomo perde la sua tranquillità: teme che l’elefante possa prendere vie pericolose e disarcionarlo e scaraventarlo al suolo; oppure che la guida alle sue spalle, nonché un amico – come ha supposto finora – possa rivelarsi un rapinatore e un assassino.

Ecco, questa è la condizione della nostra coscienza: instabile e precaria, almeno fintanto che si avverta impegnata in un dialogo surreale con entità che le appaiono sconosciute.

Un’ultima nota. Se penso a ciò che è accaduto mentre componevo queste righe io stesso direi: ho sognato. In effetti, seguendo suggestioni immaginarie, ho composto un sogno a occhi aperti, un sogno nel quale elaboravo immagini relative alla mia idea della struttura della mente; ed essendo questo sogno in realtà orientato da un tema (il rapporto fra il sogno, la mente e la coscienza), questo sogno è stato un sogno guidato, un sogno lucido.

Gran parte della letteratura è un vasto e complesso tessuto di sogni guidati.

Un consiglio, dunque: se al mattino ricordate un sogno, non cacciatelo via come se fosse un ospite importuno! Ripetetelo tra voi e ricordatelo, anche se in apparenza non significa nulla. Avvierà con voi un dialogo segreto; infine vi aiuterà a variare i pensieri, a vedere le cose da diversi punti di vista, ad aprire la vostra mente come un ventaglio circolare...