Nicola Ghezzani

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Nicola Ghezzani vive e lavora a Roma. È psicologo, psicoterapeuta, formatore alla psicoterapia e autore di numerosi saggi, articoli, libri. Ha formulato i principi della psicoterapia dialettica. Scrittore da sempre, ha dedicato una parte considerevole del suo lavoro psicologico, terapeutico e di ricerca alle dotazioni psichiche e alla creatività.

Viviamo sempre in due

“La riproduzione vietata” (1937), olio su tela, di René Magritte.

Il bisogno di individuazione duale

Nei miei libri sull’amore – sia in Quando l’amore è una schiavitù, che in L’amore passionale – affermo l’esistenza di un bisogno naturale di vivere nell’amore di un Altro. Non mi limito a dire che la ricerca di una dimensione duale, di coppia, è incidentale, ossia che accade per caso nel corso della vita. Affermo che la nostra natura biologica ci obbliga a cercare il nostro vero Sé attraverso un altro essere umano.
Su L’amore passionale scrivo a un certo punto:

La forza dell’amore passionale consiste nel fatto che non appena si attiva è tale da annullare ogni altro valore. È probabile che il carattere assoluto dell’amore passionale abbia una base filogenetica. Il sentimento dell’amore, preso in tutte le sue forme, trova le sue basi in quella simbiosi sociale che caratterizza la specie umana e che si esprime nel gioco dell’intersoggettività. Nella psiche umana l’alter, l’altro, è una figura focale onnipresente e condiziona sia le azioni che il senso del sé. Impossibile pensarmi in alcun modo, pensarmi nella mia umanità, se non grazie alla presenza concreta e/o simbolica di qualcuno che ordina e armonizza le mie disposizioni biologiche, psicologiche, sociali. 
La riflessione sull’inalienabile importanza dell’alter nella vita di ciascuno di noi, sia infantile che adulta, mi ha portato a elaborare e a presentare qui un nuovo concetto: il bisogno di individuazione duale, che costituisce il più antico e radicale tra i momenti di sintesi dei due bisogni fondamentali descritti dalla [mia teoria, la] Psicodialettica (bisogni di appartenenza/integrazione sociale e di opposizione/individuazione).

Per formulare la teoria della “individuazione duale” mi sono appoggiato in prima istanza alla teoria psicoanalitica delle relazione d’oggetto (Spitz, Bowlby, Mahler, Winnicott, Sterne, Bollas ecc.). Gli autori di questa teoria sono consapevoli, in modo estremamente raffinato, di quale enorme importanza abbia l’intimità duale nella maturazione di ogni essere umano. Ma compiono un errore, lo stesso fatto da Freud: di ritenere che la relazione duale naturale fondamentale sia quella del bambino con la madre e che tutte le altre sono solo delle copie, delle riedizioni di essa. Un errore che li porta a pensare che l’individuo umano debba evolvere dallo stadio della dipendenza infantile, caratterizzato da un amore simbiotico, a uno stadio maturo di autonomia, ottenuto grazie al conflitto e alla separazione. Infine essi arrivano a teorizzare che l’autonomia non sia altro che una forma compiuta di solitudine, di affrancamento dalla dipendenza duale, non riuscendo così a capire fino in fondo cosa sia l’amore.


Per superare questa impasse mi sono rivolto allora all’opera di Francesco Alberoni e ho scoperto la più illuminante delle teorie circa la funzione dell’amore nella nostra vita. Migliore di quella di De Rougemont o di Luhmann, migliore di gran parte della psicoanalisi. Secondo Alberoni, l’amore ha una funzione prospettica, assolve alla funzione di modificare in profondità gli assetti della vita quotidiana dei due soggetti innamorati proiettandoli nello “stato nascente”, uno stato d’animo che consente la costruzione, prima duale poi sociale, di una nuova forma di esistenza. Alberoni, pur offrendoci la migliore teoria dell’amore fino ad oggi tentata, data la sua formazione di sociologo e di storico osserva l’amore soprattutto nella sua dimensione di aggregato sociale e nella sua funzione di trasformatore della società. Io ho cercato di osservare l’amore non solo nella sua dimensione sociale, ma anche in quella psicobiologica.

Il dono dell’empatia

Con la mia teoria della “individuazione duale” ho voluto aggiungere un tassello che giudico di importanza fondamentale. Lo avevo già accennato nel 2002, nel libro Volersi male, ma lo ho esplicitato nel 2010, in L’amore passionale: il bisogno di rispecchiarsi in un Altro è un bisogno biologico primario, iscritto nella nostra neurobiologia, bisogno che ha donato alla specie umana l'opportunità di sviluppare l’attitudine all’empatia. La nostra mente non smette mai di funzionare secondo una logica duale. Sicché quando siamo soli siamo sempre un compagnia di un alter-ego psichico; e quando siamo in due siamo sempre empatici, quindi attraverso di noi vediamo nell’altro e attraverso l’altro vediamo meglio in noi stessi.

Nel concetto che ho elaborato di individuazione duale, il concorso degli altri a mettermi nel loro focus di attenzione mi consente di capire chi io sono veramente. Non mi fornisce dell’immagine che io ho già, come accade a Narciso che non scopre nulla di nuovo e precipita nell’identico. Mi consente invece di individuare e di far germogliare e maturare aspetti delle mie potenzialità psicobiologiche che sarebbero rimasti altrimenti nascosti nell’ombra. L’individuazione – la realizzazione di noi stessi – pensata da Jung non avviene mai, secondo me, in solitudine: è sempre il prodotto di una elaborazione duale e poi sociale.

L’amore di cui parlo alla luce di questo bisogno non è solo quello della coppia erotica, è anche quello del maestro, del leader, del gruppo di riferimento, del pubblico che ci ama... Chiunque mi ami mi aiuta a conoscermi meglio, a perfezionare la mia identità. Con ciascuno di essi entriamo con loro in empatia e, nel farlo, conosciamo meglio noi stessi, maturando così le nostre disposizioni individuali: ci individuiamo in una relazione duale.

I neuroni specchio

Sequenza di foto in cui un piccolo di scimpanzè imita una smorfia fattagli da un uomo pochi istanti prima.

Questa mia tesi è stata comprovata in sede di ricerca scientifica dalle osservazioni sui cosiddetti neuroni specchio effettuate da Giacomo Rizzolatti e la sua equipe, e poi teorizzate sia da lui che da Vittorio Gallese. Secondo i risultati di queste ricerche esistono nel nostro cervello ampie reti di neuroni la cui unica – o prevalente – funzione è di rispecchiare dentro di noi i movimenti e gli stati d’animo dell’altro essere umano. Sin da piccolissimi siamo in grado di simulare dentro di noi i pensieri e le emozioni delle persone con le quali siamo coinvolti (come fanno fra loro il neonato e la madre, che si contemplano e si capiscono in una sorta di idillio amoroso primario). Intuibile che a questa funzione deve accompagnarsi un’altra area del cervello deputata a tenere la memoria delle infinite transazioni avute in tal modo con l’altro. Alla luce di questi studi, il nostro cervello appare predisposto a vivere sempre in compagnia di un alter-ego che ci accompagna e ci aiuta nella formalizzazione di un rapporto umano prototipico e nella stilizzazione di noi stessi.

Nel corso della nostra vita noi cerchiamo un altro, un diverso da noi che pure sia allo stesso tempo in piena sintonia con noi. Cerchiamo uno specchio fedele che in virtù del suo modo di essere diverso da noi rifletta in perfetta onestà le parti nascoste del nostro essere. Non uno specchio che ci dia la nostra vaga immagine abituale, ma che ci mostri a noi stessi nelle nostre lacune e imperfezioni, nelle nostre sofferenze e potenzialità inesplorate, quindi in tutto ciò che in noi esiste ed avviene a nostra insaputa. Uno specchio che ci sottragga al velo della mistificazione e ci riveli la nostra più intima natura. Lo vediamo con chiarezza nell’attitudine della madre a mettere in luce i bisogni primari del bambino e le sue funzioni vitali, esultando e facendo esultare il bambino ogni volta che le scopre; lo vediamo nell’amicizia, nella quale l’amico del cuore consente al suo partner di mettere in luce se stesso, i suoi pensieri e le sue esperienze, maturando una più salda conoscenza di sé; lo vediamo nell’amore nel quale l’amato consente all’innamorato di vedersi in una luce nuova; lo vediamo nella relazione psicoterapeutica, nella quale il paziente proietta sul terapeuta le sue parti migliori e quelle peggiori, sperando di riaverle trasformate.

Infine, poiché noi stessi siamo specchio per l’altro ecco che, mettendo due specchi l’uno di fronte all’altro, le immagini riflesse si moltiplicano all’infinito. Più mi osservo grazie all’altro, più annullo la mia immagine creandone una nuova. Il cammino della conoscenza non ha termine, la rivelazione è infinita.

È questo il mistero dell’amore: non cessa mai di chiedere il “meglio” per sé e per l’altro, quindi la conoscenza, il lavoro, la perfezione.