Nicola Ghezzani

Foto di Nicola Ghezzani

Nicola Ghezzani vive e lavora a Roma. È psicologo, psicoterapeuta, formatore alla psicoterapia e autore di numerosi saggi, articoli, libri. Ha formulato i principi della psicoterapia dialettica. Scrittore da sempre, ha dedicato una parte considerevole del suo lavoro psicologico, terapeutico e di ricerca alle dotazioni psichiche e alla creatività.

Elogio della penombra

Tutte le scimmie superiori – famiglia alla quale noi umani apparteniamo a pieno titolo – partoriscono al buio o nella penombra. In genere prediligono la notte o la fitta ombra delle piante.

Uno scienziato, un giorno, ha realizzato uno strano esperimento. Ha costretto una madre di bertuccia a partorire in un ambiente illuminato notte e giorno da una forte luce artificiale. Il vasto ambiente di laboratorio che conteneva la partoriente e il suo branco era illuminato da una luce uniforme e continua. I risultati non si sono lasciati attendere. Colpita da quella luce incessante, disturbata nel sonno, la scimmia gravida era molto inquieta e si agitava. Ma soprattutto si agitavano gli altri membri del branco. Appena la madre ha partorito (con più dolore di quanto se ne osservi in media in quella specie) i membri del gruppo si sono agitati in modo inconsulto. Ed è successo l’incredibile: alcuni hanno mangiato la placenta, altri sono giunti a mordere fin quasi ad ucciderlo uno dei due gemelli appena nati. Sotto quella luce fredda e ossessiva, il parto è stato traumatico per tutti: per il piccolo aggredito, per la madre traumatizzata e per lo stesso branco, che ha messo in atto aggressività e violenze che in natura non avrebbe mai compiuto.

“Sera di carnevale”

Il punto è questo: la luce altera l’equilibrio biologico della nascita iscritto in profondità nel DNA delle specie superiori. Per creare l’intimità protettiva necessaria all’evento del parto occorrono il buio o la penombra. La luce, infatti, stimola ormoni eccitanti come l’adrenalina, i quali a loro volta attivano gli istinti aggressivi.

Questa osservazione dovrebbe farci riflettere su un singolare paradosso: noi esseri umani costringiamo sempre le nostre partorienti in ospedali illuminati da una luce ossessiva, sia in reparto che in sala operatoria. Quindi le nostre donne sono sempre esposte al rischio di parti traumatici. La luce ossessiva, la relazione anaffettiva col personale, la presenza di estranei (e la mancanza di privacy), fanno sì che la donna sia in perenne allarme e quindi attivi reazioni di allarme, di panico, di dolore.

Perché nei nostri ospedali domina la luce? Per questioni di corretta visione e di profilassi? Non credo; per questo basterebbe una luce soffusa e accendere la luce intensa quando ce n’è bisogno.

A questa, aggiungiamo un’altra osservazione, non meno paradossale: la nostra civiltà sembra aver dichiarato ovunque una guerra totale alla penombra, al buio, alla notte; al punto che i lampioni e i neon illuminano a giorno tutte le città del mondo e gli uccelli e gli altri animali vi impazziscono, avendo perso il senso dei ritmi circadiani, giornalieri, tipici della biosfera. Lo stesso accade ai nostri ragazzi: i riti di iniziazione giovanile presuppongono locali affollati e iper-eccitanti che letteralmente esplodono di luci intermittenti e di suoni a ritmo battente, simili al tuono di un peana di guerra.

Perché tutta questa ossessione della luce?

A mio avviso, la spiegazione è duplice. Il primo motivo sono le esigenze di controllo dell’ambiente (ben descritte Michel Foucault, nei suoi studi sul panopticon), la necessità di visione totale tipica delle istituzioni totali, dal carcere, alla caserma, al collegio fino all’ospedale, estesa all’intera città e ormai all’intero mondo. Il secondo motivo è che l’aggressività è il tratto culturale dominante di tutte le società umane attuali (sopravvissute alla selezione darwiniana operata dalle guerre) che quindi hanno bisogno di luce per stimolarla. Le nostre civiltà sono (ancora) civiltà di guerra e le civiltà di guerra non tollerano che eventi come la nascita, la confidenza, l’amore, la morte naturale, possano costituirsi impunemente in una atmosfera di calma, di condivisione, di dolcezza: indebolirebbero la “razza”, lo spirito guerriero! Ormai, tutte le città del mondo sono eccitate senza interruzione da una luce che costringe all’azione frenetica a tutte le ore. Sono città maniacali, psicopatiche, megalomani. Anche se diminuiscono le guerre militari, la guerra economico-finanziaria domina ovunque; e accanto ad essa prolificano la delinquenza, la violenza, la promiscuità.

Ma se la luce è ovunque quella frenetica dell’azione violenta e quella ossessiva del controllo, non dovremmo proteggerci da essa? Ebbene, la gente comune non lo sa. Lo sanno solo gli amanti.

Fotografia da “La dolce vita”

Per vivere con dolcezza il loro amore gli amanti hanno bisogno di intimità, e per essere intimi hanno bisogno di penombra. Gli amanti adorano le penombre. Camere illuminate da un lume, tramonti in luoghi appartati, panchine all’ombra di ciuffi di fronde in un luogo intimo di un parco. Adorano le penombre perché lì, in quel buio soffuso, sotto la volta stellata di una notte blu, sorge un’altra luce: la luce del cuore, l’intelligenza dell’amore.

Cos’è la luce del cuore? È quella luce che vede nell’altro il bene assoluto: non lo maltratta come un nemico, non lo controlla come un servo. Proviamo a immaginare il buio uterino: in quel buio, il feto dorme un sonno continuo, che gli consente però di percepire la madre grazie alle sensazioni cinestesiche, tattili, uditive, gustative, olfattive, propriocettive, ecc. molto meno quelle visive. Egli percepisce la madre direttamente e attraverso tutti i sensi, nonché con la memoria sensoriale incipiente. Ed è in questo sentimento olistico, in questo pensiero della presenza materna che nasce la prima traccia dell’amore. La luce del cuore è dunque una “visione” nella quale noi non soltanto vediamo l’altro, la persona amata, come “oggetto nel mondo”, ma soprattutto lo sentiamo e lo pensiamo nella sua interezza e lo percepiamo grazie alle tracce di memoria di tutti gli amori precedenti, compresi quelli attesi e non realizzati. L’uso sincrono di tutti i mezzi di ricezione sensoriale e mentale ci consente di avere una percezione empatica profonda dell’altro, che è la base su cui poggia il sentimento dell’amore.

Come risponde il mondo contemporaneo alle richieste degli amanti? Ancora una volta con la luce: sia l’educazione sessuale che il suo apparente opposto, la pornografia, idolatrano la luce, quella luce. Tutto è visto e fatto nella più gelida evidenza. E così il controllo, il rifiuto della dolcezza, la violenza tornano a dominare.

Noi possiamo solo prenderne atto. Ma possiamo anche assumere un impegno: sottraiamoci all’evidente e torniamo a favorire la nascita di molte penombre, soprattutto quelle dei cuori, che consentono di illuminare in trasparenza l’intima realtà della persona amata, la sacralità della persona umana.