Nicola Ghezzani

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Nicola Ghezzani vive e lavora a Roma. È psicologo, psicoterapeuta, formatore alla psicoterapia e autore di numerosi saggi, articoli, libri. Ha formulato i principi della psicoterapia dialettica. Scrittore da sempre, ha dedicato una parte considerevole del suo lavoro psicologico, terapeutico e di ricerca alle dotazioni psichiche e alla creatività.

Il matrimonio come fonte di infelicità

La natura non è democratica

“Il trastullo del marinaio”

I miei studi sulle dotazioni individuali mi hanno portato, nel corso di molti anni, a deduzioni impopolari e di non facile ammissione. La prima e la più essenziale è questa: tutti noi nasciamo con doti psichiche diverse. La seconda deduzione è alquanto drammatica e sta alla base di una buona parte del disagio psichico e della psicopatologia anche grave: appena nati, interagiamo con ambienti familiari e sociali che ignorano o disconoscono le nostre diversità; pertanto i nostri ambienti affettivi di riferimento alterano in modo casuale o condizionano in modo intenzionale le nostre diversità originarie e naturali.

Poiché non ama né la diversità, né tanto meno l’eccezionalità, la società, subito dopo la prima infanzia, avvia a carico di tutti bambini la “grande normalizzazione”: sottoposti alle regole delle istituzioni familiari, religiose e scolastiche, i bambini vengono spinti a convergere verso la media sia sul piano delle attitudini, che sul piano delle personalità.

La “grande normalizzazione” educativa, cioè la spinta a convergere verso la media, deriva da due fattori, uno generico, l’altro specifico. Il primo fattore di normalizzazione sono le dinamiche di integrazione sociale che ritroviamo più o meno in tutte le società umane, le quali chiedono individui medi per replicarsi e durare nel tempo. Le società umane preferiscono perlopiù la “mediocrità” alla “eccezionalità”, perché dà più garanzie di regolarità e di affidabilità sociale. Il secondo fattore di normalizzazione riguarda solo le società di stampo occidentale, nelle quali ha preso sempre più piede un “diritto all’eguaglianza” che nella sua applicazione pratica è diventato un “pregiudizio di uguaglianza”. Nelle famiglie e nelle scuole di stampo occidentale, la diversità viene scoraggiata e, quando non sia risolta, viene drammaticamente osteggiata, tanto da portare alla genesi di disturbi psichici specifici. Ma la natura non è democratica e, come fa nascere individui che saranno alti due metri, ne fa nascere altri che non raggiungeranno il metro e cinquanta; fa nascere individui dagli occhi verdi e altri dagli occhi blu; e individui con l’ossatura robusta e pesante e altri dalla fisionomia esile e leggera. Alcuni hanno epidermidi che tendono al bruno e al nero, altri al roseo e al bianco. La natura non ha scopi morali, produce diversità per due motivi: innanzitutto perché non ha bisogno di regolarità assolute; poi, perché la diversità garantisce variazione e maggiore probabilità di adattamento all’ambiente e di sopravvivenza.

Matrimonio e diversità

Cosa comporta questa normalizzazione forzata in rapporto alla vita di coppia? Ebbene, comporta un paradosso che è tanto più tragico in quanto è invisibile. Secondo le mie osservazioni, le diversità psichiche individuali si addensano su almeno tre funzioni: le emozioni, l’empatia e l’intelletto. Quindi esistono, per natura e per cultura, persone più o meno emotive, persone più o meno empatiche e persone più o meno intelligenti. L’interazione che hanno avuto con i loro ambienti natali può aver amplificato o diminuito questi potenziali, ma non può averli annullati. D’altra parte il mondo sociale ha fatto di tutto sia per annullarli che per mistificarli. Le differenze individuali non vengono notate se non per vaghe intuizioni e non esiste una “scienza delle differenze” perché sarebbe giudicata antidemocratica. Si tratta di una vera e propria ignoranza della natura umana che nella scelta del partner produce un effetto tragico, di immediata intuizione: Poiché gli incontri fra esseri umani sono di solito casuali, possono incontrarsi ed unirsi in coppia e in matrimonio persone di temperamenti e caratteristiche psichiche diverse e persino incompatibili.

Faccio tre esempi fra i tanti possibili.

  1. Un artista sposa una partner del tutto priva di fantasia. Esercita la sua attività con passione, essendo la sua vocazione sin da bambino; ma ogni volta che tenta di farne parte la moglie, trova solo incomprensione. Ne è frustrato, si isola dall’ambiente artistico, per non dispiacere troppo la sua compagna, ma finisce per covare verso di lei un sordo rancore. Alla fine fallisce sia come artista che come marito.
  2. Una giovane donna emotiva e sentimentale sposa un giovane uomo pratico e razionale. La donna soffre molto a causa dei problemi di relazione della sua famiglia di origine, che non riesce a risolvere. Ne parla più volte al marito, ma questo finisce per stizzirsi: non capisce che la donna non sta chiedendo una soluzione pratica (che forse non c’è e che comunque non è di sua pertinenza), ma accoglienza emotiva, affetto e comprensione. Il marito, non essendo empatico quanto la moglie, non è in grado di darle nulla di quanto lei necessita e lei comincia a odiarlo.
  3. Un comico di professione, uomo socievole e brillante che ha impostato la sua vita sulla base di una comicità giocata sul paradosso, sposa una donna priva di senso dell’umorismo. La donna non ride mai alle sue battute: non le capisce. Dopo anni di incomprensione, l’uomo cade nello sconforto e perde ogni fiducia in se stesso.

Sono solo tre esempi su centinaia che ho conosciuto e che sarebbe inutile e tetro riferire. Chiunque di voi può averne in mente tanti altri.

Questo genere di problemi tocca, secondo la mia esperienza, almeno il 40% delle coppie, che di fatto uniscono individui incompatibili, ma che, per obblighi di natura convenzionale e morale, non possono nemmeno prendere coscienza della radice del problema.

Soluzioni empiriche patologiche

Queste coppie infelici arrivano, il più delle volte, a soluzioni empiriche patologiche, talvolta guidate da figure semiprofessionali di area religiosa o da figure professionali di area laica come psicologi e consulenti della coppia.

“Ernesto Esposito e Federica Della Volpe”

Di soluzioni empiriche patologiche ne posso citare almeno due.

  1. Nel maggior numero dei casi, dato il pregiudizio democratico di uguaglianza, si ascrive la disfunzione della coppia alla “cattiva volontà” o persino alla “volontà di dominio” di uno dei due o di entrambi. La conseguenza di questa errata interpretazione è un tentativo correzionale a carica del “reo”, con l’effetto di scatenare il conflitto rivendicativo e un loop senza fine di accuse e controaccuse reciproche.
  2. La seconda soluzione, anche questa empirica e patologica, è il sacrificio di quello che nella coppia porta la diversità ed è pertanto il più dolorosamente consapevole della disfunzione. In questo caso, il partner cosciente di portare all’interno della relazione l’elemento squilibrante se ne fa una colpa o comunque si attribuisce una responsabilità morale che non gli lascia scampo. Se nel primo caso la coppia si isterizza e scade in dinamiche di conflitto permanente, in questo secondo caso la coppia si deprime: il rinunciatario cade in una profonda depressione e il partner lo segue a ruota, colpevolizzandosi dell’infelicità del partner di cui non capisce la ragione.

Queste due soluzioni patologiche derivano dalla tendenza ideologica a individuare delle responsabilità soggettive nella gestione della vita amorosa, in ossequio ad un pregiudizio di autodeterminazione, non sempre realistico, che presuppone che qualora, fra due o più esseri umani, vi sia un problema debba esserci sempre una volontà soggettiva responsabile. Poiché non si tollera l’idea di essere dominati da un principio oggettivo (anche se naturale), si preferisce pensare ad una responsabilità delle persone coinvolte. In ossequio a questo pregiudizio non si esita ad andare contro natura, forzando la mano a tendenze imperative della disposizione soggettiva. La coppia “deve” funzionare, anche contro l’evidenza che questo obbligo ideologico genera solo infelicità. Un parallelo che rende il paradosso più chiaro e comprensibile è il caso di quelle coppie eterosessuali nelle quali un partner è omosessuale, ma “deve” comunque desiderare e amare il coniuge in ossequio alla morale corrente; o l’altro caso di quelle coppie nelle quali uno dei due è ateo, ma “deve” mostrare rispetto per la religiosità del partner e seguirlo nei suoi riti per non deludere né lui né le aspettative dell’ambiente di riferimento.

Per conto mio, penso che sarebbe maturo da parte delle coppie affrontare soluzioni alternative. Quando una coppia non funziona e non può funzionare perché l’oggettività della natura si mette di traverso, non resta che la separazione senza colpa, senza epiloghi tragici. Oppure lavorare sulla moltiplicazione: mantenere in vita il rapporto di coppia sulla base dell’affettività che si è creata negli anni (se si è evitato l’errore di attribuire colpe soggettive), e compensare la mancanza di reciprocità nelle attitudini naturali allargando la rete della vita sociale e dell’affettività.