Nicola Ghezzani

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Nicola Ghezzani vive e lavora a Roma. È psicologo, psicoterapeuta, formatore alla psicoterapia e autore di numerosi saggi, articoli, libri. Ha formulato i principi della psicoterapia dialettica. Scrittore da sempre, ha dedicato una parte considerevole del suo lavoro psicologico, terapeutico e di ricerca alle dotazioni psichiche e alla creatività.

Come difenderci dalle notizie

(e sviluppare una coscienza critica)

Come nasce una stella

Le notizie ci circondano, ci assediano, ci corteggiano, ci seducono: alla fine vogliono espugnare il fortino in cui è arroccata la nostra povera coscienza. Con ogni mezzo. Soprattutto sfruttando quella che è la caratteristica umana più commovente: la fiducia (e quindi la nostra disponibilità alla fede). La natura umana ci predispone alla fiducia, perché è il prodotto di una lunga evoluzione biologica che l’ha resa socievole, empatica, cooperativa; e pertanto ci invita a pensare che se un nostro simile ci dà informazioni esse sono veritiere e ci vengono fornite per il nostro bene. Siamo animali sociali, predisposti alla fiducia. E quindi siamo anche animali ingenui.

Considerando l’onnipotenza e l’onnipresenza dei mass media, potremmo porci questa fondamentale domanda: se la coscienza contemporanea è così influenzabile circa un argomento basilare come la salute (fisica e psicologica), quanto lo è riguardo a situazioni in apparenza meno esiziali quali politica, economia, cultura? Quanto della coscienza contemporanea di ciascuno di noi è un prodotto della nostra libera ricerca e libera riflessione e quanto ci è invece indotto attraverso la persuasione occulta dei mass-media, fino a fare della nostra coscienza una coscienza alienata? Insomma, siamo sicuri che la cultura che mastichiamo tutti i giorni (i programmi televisivi che scegliamo, i film per cui paghiamo il biglietto o il noleggio, le opinioni che ricaviamo dai giornali, gli autori che leggiamo...) siano stati davvero filtrati dalla nostra riflessione?

Foto decorativa

Faccio un esempio. Su un giornale X appare la notizia della scoperta di un nuovo grande scrittore. Si grida al “caso letterario”. Poniamo che si tratti di una ragazza siciliana che ha scritto il diario dei suoi amori con i più importanti politici della regione; oppure di un giovanotto del nord-est che ha descritto in uno strano slang demenziale l’alienazione dei giovani e annoiati ragazzi-bene di quella zona della provincia italiana. Dapprima ne parla un critico, con ossessiva insistenza. Poi, compaiono a tutta pagina le inserzioni pubblicitarie del libro di questo nuovo e portentoso “fenomeno letterario”. Poi sul magazine dello stesso quotidiano compare un’intervista con l’autore corredata da foto suggestive e di alta qualità che ci introducono nel privato del misterioso personaggio; o primi piani che mostrano la bella ragazza coi lunghi capelli sciolti, uno sguardo ombroso e l’accenno di un seno prorompente. A quel punto si attiva il tam-tam delle altre grandi testate, attirate dallo scoop. Poi, l’intervista televisiva con un noto giornalista; infine la comparsa in televisione, dove il personaggio viene intervistato non sullo specifico della sua attività – la letteratura – ma sulla cosa che conosce meglio: la sua vita privata!, e così il gioco è fatto. La promozione del nuovo personaggio (e quindi del libro, con le sue vendite e l’acquisto dei diritti per un film, e dell’editore, che si vede pubblicizzato al seguito dell’autore) è giunta al traguardo. Il conferimento di un grande premio letterario nazionale suggella col crisma dell’accademia la nascita della nuova stella.

Infine, la permanenza della nuova stella nell’empireo dei Grandi Spiriti dipende dall’operatività automatica di un circuito economico virtuoso: le librerie, i giornalai, i super- e gli iper-mercati espongono sui loro banchi solo i libri smistati dai grandi distributori (che costano poco e arrivano ovunque); il pubblico a sua volta compra solo i libri che vede esposti sui banchi, il cui autore è apparso in televisione. Gli acquisti, dunque, premiano solo quelle opere che hanno visto l’attivarsi del grande circuito mediatico.

Il kitsch di massa

Sembra un evento banale, sul quale si può ironizzare. In realtà è un evento terribile quanto la promozione di un farmaco “miracoloso”, che invece causa gravi effetti collaterali, minimizzati di fronte all’opinione pubblica. Dico che la creazione di un “caso letterario” è un evento terribile perché quel nuovo autore sarà considerato l’ideologo della prossima generazione; i giornali se ne contenderanno gli articoli; avrà interviste in televisione; molti giovani guarderanno a lui per ottenere lumi sulla vita. Si aggiunga che molti profitti saranno stati fatti dall’editore, il quale potrà promuovere, grazie al nuovo successo, tutto il suo catalogo e potrà forse acquistare una quota di un grande quotidiano. Aggiungiamo a tutto ciò il fatto che il nuovo autore, prendendo possesso del ruolo di intellettuale, ne priverà altri cento più meritevoli di lui (contribuendo alla degradazione della cultura letteraria nazionale, che è un bene collettivo) e il quadro sarà completo.

E nessuno – né sulla stampa, anche quella critica, né nei salotti degli intellettuali – si sarà mai posto questa banalissima domanda: ma costui da dove viene? Insomma: chi è? Con quali poteri si è promosso fin lì? Quali poteri si giovano della sua esistenza e influenza? Chi ha investito su di lui, e che debiti ideologici e clientelari dovrà pagare per il suo successo, e a chi?

In sostanza (detto in soldoni) esistono dei codici, delle liturgie, senza i quali non si accede ai poteri delle caste superiori. Nella società contemporanea (e ciò in Italia è particolarmente evidente) esistono salti quantici che segnano il passaggio da una casta ad un’altra, a ciascuno dei quali coincide un potere maggiore, una maggiore capacità di persuasione e, soprattutto, maggiori potenzialità di realizzazione e di felicità. Le caste alle fine si autocelebrano, producendo una religione civica di cui i cittadini sono chiamati ad essere i fedeli. Televisione, cinema, giornali, grandi occasioni politiche, seri e semiseri dibattiti giornalistici, eventi mondani del jet-set, grandi eventi sportivi “popolari”, festival, convegni di categoria, concorsi a premi, ecc. sono le occasioni concrete di questa autocelebrazione, dove alcuni celebrano il rito della propria grandezza, mentre i più accorrono in un riflesso di carattere fideistico per adorare le proprie divinità.

Quanti sono gli intellettuali, i politici, i giornalisti, i professori, gli studiosi che si dedicano realmente all’analisi di questo immenso fenomeno sociale? Pochi, forse nessuno; perché intellettuali, politici, giornalisti, professori, studiosi dovrebbero parlare anche del percorso che essi stessi hanno fatto per accedere alla casta. In verità, chi entra nella casta ha imparato ad autocelebrarsi, quindi a occultare l’origine e la natura del suo potere.

Il medesimo discorso può valere per il “grande” psichiatra o per il “nuovo” metodo terapeutico che promette di guarire la depressione, il panico, l’angoscia esistenziale in dieci sedute fast-food. La produzione culturale nel campo specifico diviene sempre più aggressiva, seduttiva e kitsch: di pessimo gusto. Si miscelano, allora, su libri, riviste e giornali, pillole e suggestioni mistiche della più varia natura, allo scopo di blandire e lusingare l’universale tendenza a credere e a dipendere. Allo psichiatra d’assalto (che impone il dogma dell’origine genetica dei disturbi psichici) si avvicendano lo psicologo New Age da trasmissione televisiva e oggi sempre di più il counselor demagogo, con irrisolti nuclei di narcisismo patologico, che ha ottenuto il titolo a “curare” in tre mesi di corso. Argomenti si sommano ad altri argomenti, e nulla che dimostri nulla: nessuna prova clinica; solo affermazioni che scendono dall’alto di un pulpito: una cattedra universitaria; una trasmissione televisiva in prima serata; una pubblicazione con una casa editrice potente; l’appoggio di una grande multinazionale farmaceutica, di un partito politico, di un giornalista influente. Oggi basta una pagina su Facebook per sentirsi titolari di un pulpito...

Ma tutto questo – domando – non è terribilmente diseducativo?

Risvegliare le nostre attitudini

Il filosofo inglese del seicento Francesco Bacone parlava di idola tribus (idoli della tribù) quando voleva stigmatizzare quelle credenze che si impongono al popolo per convenzione e direi, in fondo, per superstizione.

Anni fa avevo in psicoterapia un giovane paziente che faceva una vita triste e umile, soggiogata da un padre-padrone e da un lavoro ripetitivo e faticoso. L’unico passatempo di questo ragazzo (che non aveva né amici né fidanzate) era andare al cinema da solo. Vedeva qualunque cosa, pur di distrarsi. Poi, ogni notte faceva lo stesso sogno, un solo ossessivo sogno: sognava che andava al cinema e che passava tutto il tempo di fronte al grande schermo, di cui però non ricordava alcuna immagine.

Questo giovane uomo ipnotizzato di fronte al grande schermo, la cui vita era condannata alla passività della fruizione meccanica, inibita in ogni sua iniziativa personale, costretta a subire la retorica di ideologie preconfezionate, senza essere in grado né di farne l’analisi e criticarle, né – tanto meno – di produrne lui di alternative e concorrenti, mi pare il simbolo vivente della tragica situazione nella quale viviamo. Le dinamiche sociali sono tali da rendere il cittadino comune del tutto passivo di fronte alle immagini di consumo collettivo che la società produce per autocelebrarsi. Il mondo contemporaneo ha dato concretezza storica all’intuizione metafisica di Platone: che l’uomo è uno schiavo incatenato alle pareti di una caverna, dalla quale può solo osservare le fuggevoli ombre della realtà del mondo posto al di fuori della sua portata.

Fuori di ogni rassegnazione di tipo metafisico: l’uomo cessa di essere uno schiavo non appena si è conquistato la possibilità di interagire col senso comune e i poteri sociali consolidati modificandoli: in sostanza, egli cessa di essere schiavo quando rivendica il diritto di creare da sé i propri miti.

Per quanto soggiogati, noi cittadini comuni abbiamo risorse da spendere, disponiamo di importanti qualità: la sensibilità personale, l’abilità nell’analisi, l’attitudine critica, il gusto estetico, la ricerca di piaceri complessi e non banali e semplificati, la creatività sociale, l’iniziativa personale.

Di queste qualità che sono in nostro possesso dobbiamo essere consapevoli; inoltre dobbiamo farne un buon uso, per evitare che restino addormentate di fronte all’ipnosi di un qualche mediocre rito collettivo.